Famiglia TORTI
TORTI: potrebbe derivare da un soprannome originato da un difetto fisico o del portamento.
La famiglia Torti di Castelnuovo è di origine umbra, precisamente di Bevagna, in provincia di Perugia, dove nella prima metà del secolo XIX raggiunge una grande notorietà per la presenza di Francesco Torti (nato nel 1763), capostipite del ramo che si trasferirà mezzo secolo più tardi nel nostro Comune. Scrittore e studioso di letteratura, lasciò molti scritti di saggistica raggiungendo con il “Prospetto del Parnaso Italiano” l'apice della propria fama. La cittadinanza gli eresse un monumento in marmo. Oltre a questa nota particolare, se pur importante, non ci sono state riferite altre notizie di quell'epoca, dobbiamo scendere alla seconda decade del 1900 per parlare più diffusamente di questa famiglia, iniziando con Antonio, nato nella città del suo avo nel 1891.
Egli, militare nella prima guerra mondiale, si trova coinvolto nella disfatta di Caporetto. In quel tragico evento molti soldati, in uno stato di totale sbandamento e in fuga, vengono arrestati dai comandi di retrovia e condannati alla fucilazione per diserzione. Antonio viene chiamato a far parte del plotone di esecuzione, ma si rifiuta energicamente di eseguire tale drammatico compito anche perché riconosce fra i condannati un suo caro compagno d'armi. Viene dapprima insultato e poi malmenato da un sergente. A seguito della rissa i due compaiono al cospetto di un ufficiale superiore il quale, ascoltate le ragioni addotte da ciascuno dei due contendenti a propria discolpa, ordina il loro immediato trasferimento in prima linea, ed Antonio viene destinato al reparto arditi. Si trova al centro di un duro attacco nel corso del quale viene lanciato dagli austriaci il tanto temuto gas iprite. Antonio, sprovvisto di maschera antigas, non solo subisce un grave danno alla vista (di cui porterà i segni per tutta la vita) ma resta anche ferito in varie parti del corpo; tuttavia riesce a salvarsi.
La guerra è in pieno corso, sottolineata dalla violenta reazione dell'esercito italiano (rafforzato peraltro dal richiamo di truppe fresche da ogni parte d'Italia), la quale porterà alla nostra vittoria. E' proprio in questo torno di tempo che Antonio, appena ristabilitosi, viene trasferito alle miniere di Colombiera in sostituzione di un giovane operaio inviato al fronte. Viene occupato al reparto di manovra per le gabbie di estrazione.
E' testimone di un grave lutto collegato alla rottura di un cavo di sollevamento a seguito del quale muoiono alcuni operai. Antonio, dotato di fervida fantasia, studia l'esecuzione di un marchingegno in grado di bloccare i carrelli in caso di rottura del cavo; il congegno verrà applicato molto più tardi, ed il nostro inventore ne riceverà un compenso di 200 lire! Durante il lavoro in miniera prende alloggio presso la locanda Passani presente a quel tempo a Castelnuovo paese in via Roma. Conosce Maria Segnani (nipote di Giuseppe Bontempo di cui si parla nel relativo capitolo), con la quale si sposa nel 1922.
Antonio, degno prosecutore delle spinte culturali del suo antenato Francesco, si dedica con passione alla poesia e alla musica e quando nel 1923 gli nasce un figlio, gli impone il nome di Omero.
Dopo l'esperienza della miniera intraprende il lavoro di sarto, trasferendosi quotidianamente in bicicletta a Carrara presso l'allora famosa sartoria Carozzi, e successivamente si ritira a lavorare in proprio a Molicciara in località ponte Bettigna, fino all'età della pensione.
Dal servizio nella prima guerra mondiale non riceverà alcun vitalizio, fino alla caduta del fascismo, che riteneva non meritevole di tale riconoscimento questo ex soldato che si era rifiutato di partecipare a quel famoso plotone di esecuzione. Infatti solo più tardi riceverà la pensione e l'onorificenza di cavaliere di Vittorio Veneto, nonché una medaglia “au merite” rilasciatagli dal governo francese. Il figlio Omero, nato nel 1923, completa le scuole elementari a Castelnuovo, frequentando poi il ginnasio a Soliera come collegiale presso i Padri Francescani.
All'età di 18 anni entra nei cantieri O.T.O. Melara come allievo disegnatore. Nel 1942 si arruola in Finanza a La Spezia, per poi passare a Pedrazzo dove completa il corso sciatori. L'8 settembre del '43 viene fatto prigioniero in Jugoslavia dove si trovava con la IIº Armata dei Balcani, e costretto ad entrare nelle file partigiane slave.
Dopo un continuo succedersi di avvenimenti travagliati che lo vedono nelle file tedesche, poi nella repubblica di Salò e infine nei ranghi partigiani “Osoppo” operanti nel Frulli, riesce a guadagnare il rientro a casa, a Castelnuovo. Ma presto, appena finita la guerra, si presenta al Comando Alleato dove riprende servizio nella Guardia di Finanza interrotto in quel fatidico 8 settembre del '43.
Nel 1948 si congeda a causa di un temuto trasferimento a Trieste (primitiva sede di appartenenza del suo reparto) e dove a quel tempo si profilavano notevoli pericoli per la famosa presenza delle due zone “A” e “B”.
Reinseritosi nella vita civile prosegue la passata attività di disegnatore tecnico presso l'O.T.O. Melara.
Nel 1948 sposa la compaesana Sandra Ponzanelli.
All'inizio degli anni '50, a seguito delle occupazioni operaie del suddetto stabilimento, Omero, stanco delle esperienze negative che lo avevano pesantemente coinvolto nel passato, si ritira a vita privata, lavorando nel negozio - emporio del suocero Ponzanelli Mario dislocato a Palvotrisia.
Nel 1957 nasce il figlio Marco il quale attualmente, con la moglie Manuela Martinelli e le figlie Francesca e Barbara, vive nello stesso stabile dei genitori, nella “Piazza della resistenza coniugale”, così originalmente intitolata da Omero in segno della propria marcata fede antidivorzista al tempo del referendum sul divorzio del 1975.
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