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La Lunigiana storica ossia il territorio che formava l'antica diocesi lunense, a sua volta ricalcante grosso modo i confini della colonia romana di Luni e, prima ancora, quelli controllati dalla tribù dei Liguri Apuani non ha avuto una storia davvero “grande”. Questa è una verità che, enunciata così brutalmente, può ferire il profondo affetto per il patrio loco che tutti noi nutriamo; ma occorre riconoscere che è la verità. Siamo figli di una terra che ha visto nascere parecchi uomini di grande spessore morale ed intellettuale anche questo è vero, e bastino per tutti i nomi di Niccolò V e di Alessandro Malaspina ma sappiano che quasi sempre quegli uomini, per affermarsi, dovettero migrare e porsi al servizio di potenze più o meno lontane. Quale causa principale di ciò è stata individuata la mancanza di un grande centro urbano, capace di attrarre risorse umane, economiche e militari in grado di contrapporsi e contrastare le tante potenze circostanti: Lucca, Pisa, Genova, Firenze… a fronte delle quali ben poco potevano i vescovi-conti di Luni ed i marchesi Malaspina. Non è un caso che fino ad ora nessuno studioso se la sia sentita di compilare una storia “globale” della Lunigiana e, verosimilmente, nessuna persona dotata di buon senso mai si accingerà ad un simile lavoro. La materia ed i materiali sono mai tanti, e tanto sfaccettati, che dominarli richiederebbe sforzi titanici; e non è detto che il risultato sarebbe esaltante. Ma forse è proprio la mancanza di una storia “globale” della Lunigiana che ha fatto fiorire un'incredibile mole di monografie “locali”. Fra libri, libretti, opuscoli, saggi ed articoli, probabilmente i testi dedicati a questo o quel borgo, a questo o quell'aspetto storico della Lunigiana si avvicinano ai trentamila. Verrebbe da pensare che ormai sia stato detto e scritto tutto; ma non è così. E la più recente prova di questo fatto è resa dal volume di Attilio Vilardo e Guido Taravacci. Un libro che non è né vuol essere una storia di Castelnuovo Magra, bensì quella dei castelnovesi. Quale punto di riferimento è stato scelto un manoscritto del 1800 nel quale l'Arciprete Domenico Tancredi elenca tutte le famiglie della parrocchia. Gli autori, sistematicamente e con rigore, le hanno rintracciate ed hanno evocato o ipotizzato, per quanto possibile, le vicende a seguito delle quali divennero, per l'appunto, castelnovesi. Poi hanno fissato, prima che il tempo potesse cancellarli, ricordi biografici di tanti e tanti castelnovesi (ognuno con il proprio carico di speranze, di dolori, di impegno, di fatiche…). Un lavoro utilissimo, insomma. Neppure mancano spunti per ricerche più ampie (pensiamo alle vicende, assolutamente ignorate dai più, della miniera …) ed anche per una migliore valorizzazione del patrimonio storico-artistico (pensiamo al monumento a Cristoforo Colombo…). Si intuisce facilmente che gli autori, durante la loro appassionata ed appassionante ricerca, devono anche essersi divertiti non poco; così come si intuisce che le famiglie di Castelnuovo devono aver collaborato con grande generosità. Se così non fosse stato, il volume non sarebbe corredato di tante rare foto (quasi tutte inedite). Gli autori, con una modestia forse eccessiva, si augurano che «altri possano perseguire, nell'ambito della ricerca, traguardi più alti». Da parte mia, unisco il mio augurio al loro. Ma ci credo poco: questo libro è quanto di meglio si potesse fare.
Dario Manfredi

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