Famiglia RIDONDELLI


DONDELLI, DONADELLI, DONADONI, DONATELLI, DONATI, DONATINI, DONELLI, DONATO

RIDONDELLI, DONDELLI, DONADELLI, DONADONI, DONATELLI, DONATI, DONATINI, DONELLI, DONATO: questi cognomi possono derivare sia dal nome Donato come dal cognome “Donatus”, “Donato, concesso (da Dio)”. Il primo Ridondelli registrato nei libri di battesimo della parrocchia di Castelnuovo Magra risulta essere tale Margherita di Santino battezzata l’ 11 agosto 1577. Il territorio di Castelnuovo Magra è noto per la presenza di qualificate maestranze nel campo dell'edilizia, e la frazione di Colombiera lo è anche per i piastrellisti di cui la famiglia Ridondelli rappresenta a buon diritto un valido esemplare. L'origine geografica di questa famiglia è piuttosto incerta, se pur possiamo affermare che non è lontana dalla bassa Val di Magra dove, nelle campagne attorno a Sarzana, troviamo fin dalla seconda metà del 1800 Florindo Ridondelli, un fratello del quale si era trasferito poco lontano in località Sarzanello ed un altro presso Ponte Bettigna di Castelnuovo Magra, dove era titolare di un avviato laboratorio di falegnameria. Florindo era custode presso la fabbrica di laterizi SILEA, oggi non più esistente, dislocata dalle parti di “Battirello” dove oggi sorge un grosso deposito di materiali ferrosi. Svolgeva anche l'attività di capomastro a Sarzana, dirigendovi soprattutto opere di pavimentazione di vari fabbricati e spesso lavorandovi personalmente come artigiano posatore. Il suo lavoro si diffonderà poi a Castelnuovo, ed in particolare a Colombiera, dopo il suo trasferimento a seguito del matrimonio con Ricci Assunta. Dal matrimonio nascono ben 8 figli: Alfonso, Azzolino, Pietro, Vittorio, Cesira, Ida, Gigetto e Carlo, ultimogenito nato nel 1901. Florindo lavorerà fino a tarda età, spegnendosi ottuagenario sul finire della seconda guerra mondiale. Carlo (“Carlinetto”) fin da ragazzino intraprende dal padre il mestiere di “posatore”, dimostrandosi degno continuatore di una tradizione che trasmetterà poi ai propri figli e ad altre maestranze locali che in questo mestiere costituiranno una caratteristica distintiva rispetto alle altre frazioni del comprensorio castelnovese. All'inizio dell'era fascista alcuni componenti della famiglia Ridondelli si trovano coinvolti in un increscioso fatto di cronaca che desideriamo riferire, attraverso le testimonianze degli ultimi discendenti, onde sgomberare il campo dalle molte interpretazioni fatte sull'episodio. Dunque Carlo, nell'anno 1921, in occasione di una licenza durante il servizio militare di leva, incontra a casa propria, sull'imbrunire, alcuni fascisti intenzionati a condurre nella vicina sede politica dislocata nell'area delle fornaci Filippi, il fratello Gigetto fervente anarchico, onde sottoporlo ad un “interrogatorio”. Carlo si presta come accompagnatore al posto del padre Florindo, lì presente. Durante il trasferimento il giovane Gigetto consegna di soppiatto la pistola, di cui era in possesso, al fratello militare. Il comandante di quella sede del fascio era un altro fratello dei due, Pietro il quale, all'arrivo del gruppetto, dà ordine ai suoi camerati di perquisire immediatamente Carlo, sapendolo in possesso - dietro una misteriosa “soffiata”- della rivoltella. Scoppia un violento trambusto nel corso del quale Gigetto riesce a fuggire scavalcando la finestra e a dileguarsi nella campagna. Inseguito dalle guardie resta ferito da un colpo di arma da fuoco, ma la notte fonda ed il provvidenziale aiuto di una famiglia lo salvano da sicura morte per dissanguamento: infatti dopo le prime medicazioni lo ricoverano in ospedale. In seguito i fascisti gli imporranno l'alternativa di rinnegare la propria fede politica o di andare in esilio; e Gigetto sceglie l'espatrio rifugiandosi nella lontana America. Solo molti anni più tardi tornerà in Italia ma sporadicamente, in occasione di importanti avvenimenti famigliari. Molti anni dopo, Carlo di orientamento politico nettamente contrario al fascismo e non volendosi sottoporre all'obbligo di prendere la tessera del partito,secondo le regole dei contratti di lavoro di quel tempo, deve rinunciare all'assunzione nello stabilimento “Ceramiche Vaccari” di Ponzano Magra. Tuttavia la medesima Società, ben conoscendo le ottime capacità artigianali di Carlo, si prende cura di segnalarlo ai propri clienti sparsi nella vallata del Magra, fra i quali gli addetti alle ristrutturazioni dei servizi igienici delle navi da guerra presenti nell'arsenale militare di La Spezia. Allo scoppio del IIº conflitto mondiale riesce ad evitare la chiamata alle armi ottenendo l'assunzione nel reparto segherie presso la società mineraria Marchini a Colombiera. Dopo la parentesi bellica riprende appieno la passata attività di piastrellista, questa volta alle dipendenze del fratello Azzolino, già da tempo impresario edile, col quale aveva collaborato negli anni '30 nella costruzione delle caserme e dei magazzini dell'aeroporto militare di Luni. Nel 1923 Carlo si era sposato con Ada Giacomelli avendo il primo figlio, Eure, nel 1928. Erano tempi difficili quelli, contrassegnati da una economia debole che preludeva alla fase di “autarchia” imposta dopo pochi anni dal governo fascista; Eure, all'età di appena 9 anni, sperimenta già le fatiche del lavoro materiale, aiutando d'estate il padre nell'attività edilizia, dove svolge il pesante compito di “bocia” - manovale tuttofare - adoperandosi spesso con le nude mani nell'opera di stendimento della malta per la successiva “posa” del materiale ceramico. Tuttavia la buona “quindicina” di 5 lire (un “aquilotto”) gli dà la possibilità non solo di acquistare matite, quaderni e libri per la scuola, ma anche la prima bicicletta usata, spesso ammirata nel negozio di Toffi sulla via Aurelia: costo 11 lire. Eure frequenta le prime classi elementari presso le scuole ricavate in un locale di fortuna a Colombiera nei pressi del “pié d'ulìa”, per completarle nella V a Molicciara da “Dante dei Mondina”. Dopo il conseguimento della licenza di avviamento a Sarzana viene assunto come allievo congegnatore motorista presso la ditta Aldo Motosi di La Spezia operante all'interno dell'arsenale militare. Assiste ai drammatici eventi che segnano la storia d'Italia di quel tempo, dalla caduta del fascismo del 25 luglio del '43 alla dichiarazione dell'armistizio dell'8 settembre, all'occupazione tedesca e, nel novembre del 1944, alle fasi del drammatico rastrellamento avvenuto nelle nostre contrade: fortunosamente riesce a salvarsi con l'aiuto di un sergente tedesco che lo consiglia, nell'abitazione di Colombiera, di rifugiarsi a letto fingendosi malato di tifo. Nel 1946 ha appena superato i 17 anni di età ed ottiene l'assunzione presso la società Marchini in qualità di minatore “interno”: forse fra i più giovani minatori in Italia, ma certamente il più giovane in tutta la nostra area. Nel 1948, richiamato in servizio di leva, viene destinato alla Capitaneria di porto di Brindisi, trovandosi a seguire il corso C.A.R. di Taranto in compagnia con due compaesani: il cugino Ricci Giovanni e il caro amico Storti Lido. Dopo la ferma di 23 mesi a Brindisi torna in congedo lavorando poi intensamente col fratello Pino di 4 anni più giovane. Nel 1957 si sposa con Giacomelli Diana che gli darà due figlie: Patrizia nel '59 e Tiziana nel '62. Il fratello Pino si era sposato nel 1961 con Marciasini Carolina (“Elda”) dalla quale ha avuto 2 figlie: Catia e Federica che oggi felicemente sposate allietano la vita dei genitori con quattro vispi nipotini: Davide e Andrea (da parte di Catia) e Alessandra e Mattia (da parte di Federica).

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