Famiglia RICCI


RICCIO, RIZZI, RIZZO, ARIZZA, LO RIZZO, RICCETTI, RICCIOTTI, RIZZUTO, RICCIARDI

RICCI, RICCIO, RIZZI, RIZZO, ARIZZA, LO RIZZO, RICCETTI, RICCIOTTI, RIZZUTO, RICCIARDI: derivano da soprannomi legati a caratteristiche fisiche del capostipite, i capelli ricci. Riccio deriva, probabilmente, dal latino “ericius”, “porcospino”. In epoca medioevale “Riccio”, con le varianti regionali Rizzo, Rizza e Rissu, era riferito ad un tipo di capigliatura che veniva anche prodotta ad arte come simbolo di una determinata condizione o costume di vita. “Ricci” erano i “bravi” di manzoniana memoria e, prima ancora, i mercenari. Tale appellativo era comunque spesso associato a temperamenti capricciosi e bizzarri. Ricci erano iscritti al gonfalone del Vaio del quartiere di S. Giovanni. Ebbero probabilmente origini fiesolane. Essi infatti si trasferirono a Firenze nel 1010, dopo la presa di Fiesole da parte delle milizie fiorentine. Divenuti ben presto una delle famiglie più influenti, i Ricci divennero sostenitori della parte guelfa, e per essa combatterono anche a Montaperti nel 1260. Con l'istituzione del governo di popolo, i Ricci, riconosciuti di ceto popolare, poterono accedere alle magistrature cittadine, tanto che loro membri ricoprirono per 13 volte la carica di Gonfalonieri di Giustizia. Come alfieri del partito popolare, i Ricci furono tra i più decisi antagonisti degli Albizzi, che nel XIV sec. capeggiavano il movimento filo-magnatizio. Nella prima metà del '300, dopo l'affermazione del partito guidato dagli Albizzi, i Ricci furono banditi da Firenze; vi poterono tornare soltanto nel 1378, a seguito del tumulto dei Ciompi e della sconfitta dei magnati. Adombrati dal crescere della potenza medicea, i Ricci finirono per diventare ferventi partigiani della futura casa regnante toscana. Alla fine del '400 si spensero due rami della famiglia, quello dei discendenti di Rosso di Ricciardo e quello derivato da suo fratello Uguccione. La famiglia continuò nella linea discendente da Giovanni di Federigo. Durante il Principato mediceo i Ricci ebbero numerosissimi incarichi, mentre alcuni di loro ebbero anche rilevanti ruoli in ambito ecclesiastico. Pietro Gentile Riccio, Patrizio Genovese (1550) unisce in, sposa la figlia Geronima con Paolo Battista Fregoso. e così pure la figlia Caterina con Francesco Pallavicini, Patrizio genovese (1542) Capitano di Genova nel 1537. Pietro Paolo Riccio, Patrizio genovese (1603), sposa sua figlia Maria con Gerolamo Pallavicini. Domenico Gentile Riccio, nobile di Savona, nell'aprile del 1478, viene nominato governatore di Spoleto. “Chi s'aggira per la cattedrale di Spoleto, contemplandone i dipinti e i monumenti, suole soffermarsi con certa maggiore curiosità a riguardare nel presbiterio a destra e a manca dell'altare due grandi lapidi di marmo bianco nelle quali sono scolpite in mezzo ad ornati una donzella, e una donna con un fanciullo ai piedi, postovi a significare che fu madre. L'andare e venire che si fa da secoli sopra quei marmi non ha tanto logorato la scultura che di quelle estinte non si veggano ancora la gentilezza delle forme e la foggia antica delle vesti prolisse e dell'acconciatura del capo. Le scritte però, che erano sotto i loro piedi, sono interamente cancellate. Il Fontana, che nella Descrizione di questa chiesa parlò largamente d'altro somigliante monumento di Andreola da Sarzana, di questi non fece motto, come quei che al pari d'ogni altro nulla ne seppe. Non è gran tempo che svolgendo un processo del 1603 trovai notizia di questi monumenti, su cui avea sino dai primi anni tanto fantasticato. L'una di quelle donne è Violantina sorella di Girolamo Riario, nepote di Sisto IV e moglie del governatore Domenico Gentile Riccio da Genova, l'altra è Bianca loro figlia.” Saggio di documenti storici tratti dall'archivio del comune di Spoleto e pubblicati per cura di Achille Sansi. Matteo Ricci, gesuita del 500, annoverato tra i cento uomini più famosi della storia dell'umanità, insieme a pochi altri insigni personaggi italiani come Michelangelo Buonarroti, Leonardo da Vinci e Guglielmo Marconi. Marco Polo inauguro' nel 200 le prime rotte commerciali tra Cina ed Europa, Matteo Ricci apri' nel 500 le rotte culturali attraverso un poderoso lavoro di introduzione della civiltà cinese ai popoli dellOccidente e della civiltà europea a quelli dell'Estremo Oriente. Si fece cinese con i cinesi e, facendosi chiamare Li Ma Dou, tradusse il suo fervore missionario in un imponente lavoro culturale che fornì i primi strumenti di vero dialogo tra le due civiltà, come il primo dizionario di cinese per gli occidentali (che quattro secoli dopo viene ancora edito a Parigi a suo nome) e numerose traduzioni in cinese di classici antichi e di testi scientifici europei del Rinascimento. Morì in Cina onorato alla Corte Imperiale come astronomo e matematico. Il primo Ricci registrato a Castelnuovo risulta essere Michele Angelo di Nicolò da Scalavergna, coniugato a Castelnuovo il 5 settembre 1593. La famiglia Ricci di via Aglione (della stirpe dei “Tobia”) Fino alle soglie dell'ultima guerra le condizioni di benessere economico della gran parte delle famiglie di Castelnuovo erano legate al possesso di aree agricole e possibilmente anche di animali da lavoro oltre a quelli da latte, da carne o da lana. Infatti il nostro territorio era vocato soprattutto all'agricoltura, e peraltro le industrie locali impegnavano manovalanza a scarsa retribuzione. Una condizione vantaggiosa per le famiglie, per far fronte alle esigenze richieste dalle varie attività della campagna, era il numero dei loro componenti: tutto ciò spiega l'alto livello demografico dei nuclei famigliari reso necessario anche in relazione alle scadenti condizioni sanitarie che spesso, a seguito di epidemie nonché di malattie mortali infantili, richiedevano drammaticamente il rapido rinnovamento della forza - lavoro. La situazione della famiglia di Giuseppe Ricci, discendente di “Tobia “ nato in Aglione il 13 settembre 1557, rappresenta significativamente questo quadro generale. Giuseppe vive verso la metà del 1800 in via Aglione (oggi via Canale) in un palazzotto di sua proprietà, costruito fin dal 1700 con architettura piuttosto ricca e prestigiosa della quale attualmente resta solo una pallida traccia a causa della parziale distruzione provocata dall'ultimo conflitto, e dai vari rifacimenti che hanno stravolto l'antico impianto. Giuseppe vi abita con la moglie e ben 11 figli che collaborano tutti insieme nella coltivazione degli ampi possedimenti terrieri distribuiti anche a Borgolo, a Robiano, al Disegno. Molti di questi appezzamenti gli derivano dall'antica eredità di famiglia, ma altri sono stati acquistati dallo stesso Giuseppe, essendo appartenuti al patrimonio dei conti Lazzotti di Castelnuovo che a quel tempo accusavano difficoltà finanziarie. Giuseppe è persona di iniziative: infatti utilizza i buoi, di cui è in possesso, non solo come forza lavoro per i vari bisogni agricoli, ma anche per effettuare trasporti di merci su pesanti carri, fino alla città di Carrara. Questa attività gli fornisce una buona rendita che egli sa ben mettere a frutto per migliorare il benessere di tutta la famiglia. Questo personaggio rivela anche un certo livello intellettuale che gli fa meritare (cosa rara per quel tempo, nell'ambito contadino) la nomina a giudice popolare a Genova. I frequenti viaggi che deve compiere nel capoluogo ligure per espletare tale ufficio, gli tengono la mente aperta, e gli rendono vivace la voglia di attivarsi per migliorare il proprio stato. Fra i numerosi figli ricordiamo Eugenio che nasce nel 1886. Egli prosegue l'attività lavorativa del padre dal quale aveva ereditato vari appezzamenti di terreno. Tuttavia diviene mezzadro dei Lucri di Sarzana alle cui dipendenze lavorerà per 60 anni, ritirandosi poi nei propri possedimenti a seguito di certi dissapori nati con gli eredi di quei padroni. Eugenio partecipa al primo conflitto mondiale in qualità di sergente degli alpini. Si sposa con Amelia Tulipani di Castelnuovo dalla quale ha 5 figli di cui tre maschi. Molto esperto di agricoltura ed in special modo nel settore della potatura e dell'innesto, attiva un fiorente commercio di piante da frutto (viti ed olivi in particolare) con partners commerciali di Lucca : tale attività lo impegna specialmente la Domenica, unico giorno della settimana in cui erano aperti i mercati generali nella vicina Sarzana. Un figlio di Giuseppe, Tolmino, terzogenito della numerosa prole, nasce all'inizio del primo conflitto mondiale nel 1915 nella vecchia casa avita di via Aglione. L'esistenza di Tolmino è caratterizzata, per buona parte degli anni giovanili, da una lunga permanenza nell’ambito militare. Infatti negli anni '30 a seguito dei nefasti avvenimenti che si succedono in quel periodo, è costretto ad indossare la divisa grigio-verde militare che porterà per ben 8 anni quasi ininterrottamente, impegnandosi dapprima sul fronte spagnolo e poi nella marina militare italiana come sergente maggiore, e in seguito come cannoniere telemetrista sul treno blindato facente la spola sulla tratta litoranea Genova-Imperia per contrastare temuti sbarchi degli americani. Nel 1935, ad appena 20 anni, si era sposato (o meglio era “scappato” come usava in quel tempo) con la sedicenne Baudacci Lilia. Tolmino, dopo il lungo servizio sotto le armi, lavora come minatore nelle locali miniere di lignite. Nel '54 è impegnato temporaneamente come manovale e poi come muratore presso la ditta di costruzioni Ferrari di La Spezia. A questo riguardo merita riferire qualche notizia di cronaca che mette in evidenza la situazione di enorme sacrificio sostenuta da Tolmino. Per raggiungere il posto di lavoro a La Spezia viaggiava col treno in partenza dalla stazioncina di San Lazzaro alle ore 6.30. La partenza di buon'ora non impediva a Tolmino di accudire precedentemente a qualche lavoro nei campi che poi riprendeva regolarmente, al ritorno dal cantiere spezzino. Si recava alla stazione in bicicletta la quale costituiva, in quel periodo, un bene preziosissimo, tanto che si faceva accompagnare dal cane che - fedele alla consegna di custode del mezzo - vi rimaneva di guardia fino a sera! Ciò si ripeterà quando Tolmino sarà impegnato in certi lavori a Massa, durante lo svolgimento dei quali la stazione di partenza sarà quella di Luni, come pure luogo di guardia del fedelissimo cane. La bicicletta! Un bene veramente prezioso in quegli anni, tanto che le truppe di occupazione tedesche, dopo l'8 settembre '43, spesso le requisivano ai proprietari! Così avvenne anche alla moglie di Tolmino durante un suo trasferimento a Sarzana. Requisizione subito revocata a seguito del deciso intervento del marito che, rimpatriato di recente dal fronte dove aveva assistito a ben altre violenze, non temeva le ritorsioni di quei soldati, investiti a loro volta dalla sua furia e dalle sue minacce. Non ci resta da aggiungere altro a queste note di … storia minore, ma densa di cronache, se non qualche notizia riguardante il figlio di Tolmino, Tino. Tino, diplomatosi ragioniere nel 1958, ha trovato impiego a Sarzana in un magazzino edile, poi in una impresa di costruzioni come amministratore, e infine come dipendente dell'I.C.A. di La Spezia dove ha raggiunto il grado di direttore dell'Ufficio di Ragioneria. Sposatosi nel 1961 con Carla Orfanotti ha due figli: Daniela e Alessandro che lo hanno reso nonno di quattro nipoti: Luca, Alessandra, Giulia e Alessio. La famiglia Ricci Luigi di Colombiera Esaminiamo ora un altro ramo della famiglia Ricci, e precisamente quello che inizia con Luigi, figlio, come il già ricordato Fernando (Fernà), di Giovanni. Luigi nasce nel 1905; in età molto giovanile collabora con la famiglia, contribuendo ancor più al sostentamento di essa dopo l'assunzione come operaio presso la società elettrica C.E.L.I. Nel 1926, a 21 anni, si sposa con la compaesana Morachioli Maria Vanda, “Vandina”, da cui ha quattro figli di cui tre maschi: Renzo (1928), Rinaldo (1935) e Davide (1942). L'accresciuto guadagno non vede un netto miglioramento nell'economia famigliare ostacolato dall'aumentato numero dei suoi componenti, e la situazione diviene improvvisamente drammatica per la repentina morte di Luigi. Infatti all'età di soli 42 anni, nel 1947, durante un servizio di lavoro viene colpito pesantemente da un palo in cemento che gli frattura una gamba provocandone - a causa di una non adeguata assistenza sanitaria - la cancrena e la morte. Non essendo riconosciuto il decesso per cause di servizio (la situazione dell'immediato dopo guerra non apriva molte speranze sul piano del diritto dei lavoratori), la famiglia precipita in uno stato di vera disperazione che si ripercuoterà per anni sulla serenità psicologica della giovane Vandina, e a poco serviranno negli anni a venire le suppliche per far entrare il primogenito Renzo nell'Azienda lasciata dal padre; e ciò costituirà un grave onere anche per Nardi Assunta, madre di Vandina, che da tempo teneva un piccolo esercizio commerciale a Colombiera. In tale attività si inserisce anche la vedova che a poco a poco ne migliora il funzionamento e quindi il guadagno, grazie anche alla numerosa clientela costituita dagli operai della locale miniera di carbone, attiva fino al 1954. Ma intanto il figlio Renzo era stato assunto presso la nuova società elettrica ENEL dove lavorerà fino all'età della pensione, mentre il rinnovato negozio di alimentari della “Vandina” darà i suoi meritati frutti. Anche il figlio Rinaldo sarà assunto nella suddetta azienda, dopo esperienze lavorative in una officina elettromeccanica spezzina. I due fratelli, dai rispettivi matrimoni avranno due figli: Luigi e Tina da Renzo, Gabriella e Anna Maria da Rinaldo. L'ultimo nato da Luigi e Vandina è Davide. Egli, dopo il conseguimento del diploma di perito meccanico, trova impiego presso la FIAT di Torino per 3 anni. Dopo una temporanea esperienza universitaria presso la facoltà di Fisica , compie gli obblighi di leva e si sposa con Minerva Ugatti di Carrara. Ha due figli: Simona, ingegnere edile e Matteo, studente universitario.




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