Famiglia PRUNO


PRUNER

PRUNO, PRUNER: cognome assai antico, forse etrusco o romano a causa della derivazione dal regno vegetale a cui spesso si riferivano quelle civiltà per attribuire il patronimico. Tale cognome potrebbe derivare altresi dal vocabolo dialettale tirolese “pruner” (fonte) intendendo probabilmente chi abita vicino ad una fonte d'acqua. “A Pruno di Valle dell'Angelo, minuscolo borgo rurale sito nell'omonima località, tra i 600 e gli 800 metri di altitudine, vive una piccola comunità in volontario esilio, dedita ad uno stile di vita tipico della più autentica cultura contadina. Isolati per scelta di vita, ma anche a causa di una pessima viabilità, che in inverno non consente di raggiungere il comune, se non in elicottero, gli abitanti di Pruno si dedicano alla coltivazione e all'allevamento del bestiame, conducendo uno stile di vita oggi ricorrente solo nei poemi bucolici; tuttavia, hanno scelto di restare a Pruno, rifiutandosi di andare a vivere a Valle, dove certamente avrebbero maggiori comfort, e qui vivono in una singolare forma di solidarismo, aiutandosi l'un l'altro, e trascorrendo le serate tutti insieme, chiacchierando della vita del bosco, pregno di un'insolita pace e tranquillità, e cantando melodie cilentane d'altri tempi. Pane, olive e formaggio è il cibo abituale. Il lavoro è il gregge di pecore e capre da mandare avanti con l'allevamento brado di vacche: animali che danno buona carne ed ottimo latte. La lavorazione del pane, del formaggio e degli insaccati, poi, secondo un'antica tradizione, richiama alla memoria immagini di un passato ormai lontano, di cui Pruno, a buon diritto, può e deve considerarsi, nel Parco del Cilento, l'ultimo esempio vivente: non a caso negli ultimi anni è stato riconosciuto patrimonio mondiale dell'umanità, essendo l'ultimo esempio di comunità scomparse da oltre mezzo secolo. Pruno è un vero e proprio museo vivo della civiltà contadina, somigliante agli amish americani o ad un kibbutz israeliano.” Le notizie di cronaca sui componenti di questo casato insediatosi a Castelnuovo Magra, ci sono state fornite dagli ultimi discendenti. Il ricordo si spinge a Onesto Pruno, vivente a Molino del Piano nel 1800, insieme alla famiglia, in un edificio ancor oggi esistente in via Salicello all'altezza della deviazione per via Robino. Questa unità era costituita dal padre Onesto, dalla moglie Maria Tavilla e da 5 figli. Osservando una antica foto di gruppo balza subito all'occhio la situazione economico-sociale della famiglia Pruno e, osservando bene, anche qualche tratto psicologico dei singoli componenti. Di certo emerge un grande affetto reciproco testimoniato dalle mani, tutte unite fra i diversi famigliari, quasi a tenerli protetti l'un l’altro dall'occhio misterioso e indiscreto dell'obiettivo fotografico. Il mazzolino di fiori di campo (margheritine? Perciò la foto è stata scattata in primavera) tenuto dalla piccola Luigia dà un tono di gentilezza all'insieme. L'autorità del padre Onesto, in alto a destra, sottolineata dallo sguardo fiero, è stemperata nella posizione delle mani che, appoggiate sulla spalla della moglie Maria e della figlia Luigia, esprimono un sentimento di tenerezza e di protezione; il piccolo Araldo ultimogenito è quasi protetto dal padre che gli sta dietro e dalla madre che gli siede accanto. La “catena” di affetto prosegue nei tre figli Pietro Umberto (terzogenito) in alto a sinistra, Amedeo (secondogenito) che gli sta seduto davanti, e Carolina (primogenita), in piedi accanto al padre. In tutti si riconosce il desiderio di esibire un certo benessere economico, attraverso gli indumenti indossati. Infatti i due figli più grandi portano il cappello delle feste, Amedeo mette in bella mostra sul panciotto una catena per l'orologio da taschino e una cravatta sull'immacolato colletto. Le donne sono vestite con l'abito “della Domenica” e Carolina esibisce attorno alle spalle un vezzoso foulard che le conferisce un tono civettuolo. Il fiocco sul capo di Luigia ed i capelli abbandonati sul contorno del viso le rendono elegante il portamento. Anni lontani, quelli, in cui il tempo scorreva lento, sul ritmo degli avvenimenti quotidiani che costituivano, ciascuno, una rinnovata esperienza di cui far tesoro per il miglioramento della vita. Tempi in cui le famiglie formavano una piccola cellula sociale nella quale la collaborazione reciproca si rendeva indispensabile per il sostentamento di tutti, e costituiva anche un proficuo elemento per rinsaldare gli affetti fra i medesimi famigliari. L'attività svolta da Onesto Pruno era quella di mugnaio presso i Saccomani di Molino del Piano; Maria, la moglie, oltre ad accudire ai lavori di routine per la casa, raccoglieva legna per far da mangiare o per riscaldamento col camino; coglieva funghi nei vicini boschi, coltivava un piccolo orto adiacente alla casa per trarne di che completare il desinare, costituito per lo più da polenta di farina di castagne o di granoturco, oppure da minestra di farina di grano procurata, come quella per cuocere il pane, dal marito mugnaio. I Pruno possedevano anche un piccolo vigneto, capace di fornire modeste quantità di vino che tuttavia si rendeva sufficiente durante l'anno se - come si usava un tempo - veniva “allungato” con la “vinella” tratta dalla fermentazione delle vinacce esaurite. Onesto veniva aiutato nelle sue mansioni di mugnaio, integrate in autunno da quelle di frantoiano nell'adiacente impianto dei Saccomani, dal figlio Amedeo (Medè), il quale, animato da grande spirito d'iniziativa, in estate fabbricava gelati per rivenderli nei dintorni dove si spostava con un cigolante carrettino trainato dalla bicicletta. Amedeo si sposa con una ragazza di Sarzana, una certa Pompiglia (meglio nota come Pompì), che gli dà alla luce tre figli: Norma, Maria ed Ernestino: quest'ultimo sarà maresciallo nella marina mercantile, qualifica che lo impegnerà in lunghi viaggi nei mari di tutto il mondo; parteciperà all'ultimo conflitto mondiale come sommergibilista. Araldo (l'ultimogenito) svolgerà il lavoro di elettricista, abbandonando il tetto famigliare; si sposerà pure lui a Sarzana. Infine Pietro Umberto, il futuro padre di Bruno Pruno, nasce nel 1888. Fin da bambino manifesta qualità intellettuali che lo distinguono dagli altri fratelli. Infatti a Sarzana, dove frequenta la VI classe elementare, conosce un certo Armando decoratore che, scoprendone la pronunciata sensibilità artistica, lo unisce alla propria attività affidandogli dapprima semplici mansioni come la preparazione dei colori, poi impegnandolo in operazioni di pitturazione sulle pareti, attività in cui il giovane Umberto manifesta un certo talento. E così inizia una fortunata stagione di trasferimenti nei paesi vicini come Castelnuovo, Casano ecc. per allargarsi poi sulla Riviera Ligure di levante dove l'opera del decoratore Armando, e del suo aiutante, risulta sempre più apprezzata e richiesta. Verso il 1910 Umberto si sposa con una certa Ortenilla Marchini dell'Olmarello la quale gli verrà a mancare ancor giovane di età, lasciandolo vedovo con a carico i due figli Bruno e Nilla. Il tragico lutto coglie impreparato Umberto che, già di animo mite ed estremamente sensibile - se pur di temperamento volitivo - cade in uno stato di sconforto a cui non trova rimedio il premuroso affetto dei figli, peraltro da lui ricambiato con tenerezza veramente esemplare. Umberto all'età di 50 anni scopre di essere colpito da Parkinsonismo, malattia che ne piega la volontà di condurre a termine le molte decorazioni che una larga clientela gli richiede nelle varie abitazioni. Lavorerà, se pur con ritmi via via più lenti, fino alle soglie del 1944. Bruno, il figlio di Umberto, nasce a Molino del Piano nel 1915, in una palazzina poco discosta dalla primitiva abitazione del nonno, per trasferirsi più tardi con la famiglia in via Pedemontana in località “Zero Maschio”, così chiamata forse per un grosso cerro ivi presente. Dopo le scuole elementari seguite a Castelnuovo, frequenta la VI e la VII classe a Sarzana. Ben presto manifesta una grande attitudine alla musica, circostanza che lo porta a frequentare la banda musicale di Castelnuovo Magra, dove impara a suonare il clarinetto. Il suo temperamento cordiale, completato da spirito di aggregazione, lo porta a creare un piccolo gruppo di musicisti scelti fra giovani ed entusiasti amici, allestendo con essi una orchestrina con la quale si propone, ottenendo larghi consensi, nelle varie balere assai diffuse nel territorio; feste paesane, veglioni e ricorrenze varie vedono Bruno e il suo “complesso” frequentare sale ed aie strapiene all'inverosimile, in un tripudio di musica e colori. A poco a poco affina la propria arte musicale raggiungendo ambiziose mete che si compendiano a Genova col riconoscimento ufficiale di compositore di musica leggera. Varie sono le canzoni da lui scritte e coperte dai diritti S.I.A.E. Non ci sono strumenti a corda o a fiato (dalla chitarra al violino, al mandolino; dal clarinetto al flauto, al sassofono) che non conoscano la sua abilità di modularne la voce o di variarne il timbro e la sonorità. Notevoli sono le sue doti di arrangiatore e di realizzatore di partiture per i complessi musicali da lui diretti. Tutto ciò gli deriva da un innato talento musicale sostenuto peraltro da lunghi esercizi che Bruno effettua ogni giorno. Si racconta (e ciò è credibile perché riferito dalla sorella Nilla) che Bruno si esercitasse talvolta alla tecnica del flauto, utilizzando ….. un filoncino di pane sul cui dorso faceva scorrere le agili dita, fingendolo un vero strumento musicale a fiato! Instancabile alle fatiche degli esercizi restava imperturbabile di fronte alle proteste di orecchie vicine che non volevano ascoltare quella musica ed il rumore dei piedi, che l'artista faceva battendo il tempo sul pavimento della propria camera. Infatti la sorella Nilla racconta che Bruno, a forza di percuotere il pavimento, riuscì un giorno a staccarne una “pianella” malamente incollata, provocando - durante la battitura del tempo - un rumore tale da irritare fortemente la coinquilina Domenica (Domé) che abitava al piano inferiore. Infatti l'anziana donna, tutta intenta a filare la lana con la rocca, e con la mente rapita da ameni ricordi di una gioventù lontana, venendo distratta da una musica non gradita perchè accompagnata dal secco rumore della mattonella, aveva un bel gridare contro il nostro povero musicista, investito a sua volta dal secco percuotere della canna della rocca battuta con vigore dalla sottostante Domé contro il basso soffitto. Ma il talento artistico di Bruno non si rivela soltanto nella musica nella quale continuerà per tutta la vita se pur, in seguito, in maniera saltuaria. Infatti dopo gli studi inferiori si iscrive all'Accademia di Belle Arti di Carrara che frequenta regolarmente ogni giorno, coprendo il percorso da Castelnuovo in bicicletta lungo la scorciatoia Fossone-Monteverde-Fossola. A tale scuola superiore lo indirizza la madre avendo scoperto un giorno, inaspettatamente, le capacità artistiche di Bruno. Il fatto è legato ad una circostanza particolare che ci piace riferire: mamma Ortenilla desiderava da giorni acquistare un paravento per il caminetto. Bruno, a quel tempo appena dodicenne, realizza rapidamente quell'oggetto raffigurandovi una bellissima “marina”, dipinta interamente ad olio. E così i genitori decidono di sostenere qualsiasi sacrificio per far studiare il figlio presso una scuola d'arte. Negli anni '30 Bruno si diploma in Disegno e Pittura, iscrivendosi poi al Magistero di Firenze grazie ad una borsa di studio sollecitata dal prof. Prayer, suo vecchio insegnante di Accademia, il quale ne aveva scoperto i meriti artistici, oltre alle precarie condizioni economiche. Al suo ritorno a casa, dopo il secondo successo conseguito, gli amici (i cari amici della musica) gli tributano l'affetto tanto meritato: infatti lo attendono, a sua insaputa, alla stazione di Luni dove gli improvvisano un concertino che poi continuerà nel tragitto fino a casa, eseguito a bordo di un allegro calessino. Dopo il conseguimento del titolo di studio superiore si dedica all'insegnamento, vincendo il concorso per la cattedra di disegno e di storia dell'arte presso le scuole statali di Pontremoli. Qui comincia la grande scalata di successi nel campo della pittura, e qui comincia la sua vita di felice sposo e poi padre, unendosi in matrimonio nel 1941 con la giovanissima pontremolese Irma Riccò (la sua amata “Ia”). Si trasferirà ancora a Castelnuovo per tutta la durata del IIº conflitto mondiale (dove nascerà la figlia Serena) per tornare poi definitivamente a Pontremoli con tutta la famiglia. Dopo molti anni, non dimentico delle passate esperienze di musicista, organizzerà un noto gruppo musicale. Bruno non si dedicherà soltanto all'arte della musica e della pittura, ma, dotato di mente speculativa, approfondirà temi di matematica e di geometria dove troverà soluzioni nuove ed originali a certi teoremi. Appassionato cultore del dialetto locale avvierà un proficuo carteggio con lo storico e glottologo Manfredo Giuliani di Pontremoli. La personalità di Bruno si è imposta ai massimi livelli nel panorama artistico per elevatezza di qualità derivate dal padre e che la figlia Serena ha raccolto e diffuso nel nostro orizzonte sociale e umano. Non abbiamo voluto soffermarci, se non per semplici cenni, sulla figura di artista pittore di questo personaggio, avendone altri parlato più e meglio di noi. Nostro intento è stato quello di tracciarne soprattutto - se pur in maniera incompleta - il profilo di uomo.

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