Famiglia NARDI
NARDI, NARDO, NARDINI, NARDONE, NARDONI: questi cognomi derivano dal nome medioevale italiano Nardo, aferesi di nomi come Leonardo e Bernardo o anche Reinardo e Mainardo di derivazione germanica (Baerhard, “forte orso”), con il significato di “forte”.
“Tra i più fedeli compagni di Ciro Menotti nei moti del 1831 c'era la famiglia dei Nardi di Licciana che sostenne con ardore le nuove idee rivoluzionarie. Biagio Nardi, esemplare figura di patriota della primissima ora, fu Dittatore di Modena durante i moti del 1831; esiliato a Corfù intrattenne una vibrante corrispondenza con il nipote Anacardi; morì in esilio nel 1835. Anarcardi Nardi partecipò alla spedizione dei fratelli Bandiera dove purtroppo incontrò la morte. Malgrado i savi consigli del Ricciardi, del Fabbrizi, del Mazzini, che non approvavano la inconsulta impresa, sbarcarono alle foci del Neto, con pochi altri generosi e, non trovando nessuno che li aspettasse come avevano sperato, presero il cammino per San Giovanni in Fiore, ma furono sopraffatti dalla Guardia Urbana di quel comune, e parte uccisi e parte catturati e condotti a Cosenza. Una modesta colonnetta sormontata da una croce segna il punto in cui caddero colpiti al petto Attilio ed Emilio Bandiera, Domenico Moro, Anacardi Nardi, Nicola Ricciotti, Giovanni Venerucci, Giacomo Rocca, Francesco Berti, Domenico Lupatelli. I loro corpi furono seppelliti nella chiesa di Sant'Agostino, donde nel1867 furono esumati e trasportati con gran pompa a Venezia. Il 2 ottobre 1900, la salma di Anacardi Nardi, venne portata ad Aulla.
Per onorare la memoria di uomini così ambiziosi e coraggiosi la municipalità di Licciana decise di associare al proprio nome quelli dei Nardi”.
Il primo Nardi registrato nei libri di battesimo della parrocchia di Castelnuovo Magra risulta essere tale Domenico di Tommasino, battezzato il 29 settembre 1568.
La famiglia Nardi del ramo dei “Ciapéla”
Vari sono i rami di questa stirpe disseminati in un ampio arco che da Caniparola nel fosdinovese arriva a Montecchio di Castelnuovo fino alla piana di Luni, forse appartenenti allo stesso ceppo originario, che, differenziandosi pian piano, ha fatto perdere le proprie tracce.
Del ramo dei “Ciapéla” (ciascuno di essi è contraddistinto, come spesso avviene nelle usanze popolari, da un soprannome) viene ricordato Nardi Giovanni (1882 1957) abitante all'Olmarello, imprenditore agricolo e proprietario di trebbiatrice e altri macchinari agricoli, con i quali presta la sua opera nelle campagne circostanti. Sposato con Sergiampietri Albina, trasmette la propria esperienza al figlio Augusto che, già in età piuttosto giovanile, sperimenta le fatiche di tale lavoro, ed incorrerà in un grave incidente durante un momento della trebbiatura che lo priverà di un braccio. La menomazione non gli impedirà tuttavia di proseguire in tale attività, e per molti anni ancora sarà sui campi e sulle aie di molti contadini ad allietare il rito della trebbiatura con la sua rombante macchina.
Papà Giovanni gli aveva dato anche due sorelle, Emilia e Bruna, e un fratello, Umberto (nato nel 1910) che abbandona presto l'attività famigliare per dedicarsi all'artigianato della sartoria.
La notevole esperienza che acquista in tale settore e un innato istinto commerciale, lo portano ad aprire, prima della IIº guerra mondiale, un negozio di tessuti in via Aurelia, poco distante dalla ex stazione ferroviaria di Luni, e a cimentarsi contemporaneamente nell'attività di mercante ambulante che lo porta a frequentare, con l'aiuto di un furgoncino, i mercati rionali del circondario.
Nel corso del IIº conflitto mondiale lo troviamo a Rosignano Solvay, impegnato nel compito di cucire divise per i militari americani.
Nel dopoguerra, e precisamente negli anni '50 '52, in via Aurelia, nell'edificio di sua proprietà, che sarà temporaneamente la sede della Farmacia “Pucci”, allestisce una fabbrica di pantaloni Jeans col marchio “Bob”, la prima di tal genere in un ampio comprensorio geografico. Fonda anche la squadra di calcio “BOB BOYS”. Il largo favore incontrato nel pubblico da questa fabbrica, ne favorisce l'ammodernamento progressivo dei macchinari, e l'ampliamento del personale che arriva ad una trentina di lavoranti, limite massimo per una azienda artigianale.
Anche l'area di esportazione si dilata oltre i confini nazionali, raggiungendo i mercati di Germania, Svizzera, e Francia.
Fra i dipendenti e collaboratori sono presenti, oltre al titolare Umberto, anche i figli nati dal matrimonio con Ponzanelli Élia: Giovanni, Paolo e Claudio, nonché la futura fidanzata (e poi moglie) di quest'ultimo, Chiara Genovesi, a quel tempo una giovinetta di 15 anni. Fra Claudio e Chiara nascerà presto un tenero e timido amore (sorto dapprima nell'animo di Claudio) che porterà questa coppia al felice matrimonio celebrato nel 1964.
La fabbrica viene chiusa agli inizi del 1960, ma Umberto non tralascia la notevole esperienza acquisita nei precedenti anni e, facendo tesoro delle vaste conoscenze fra le persone del commercio, intraprende l'attività di rappresentante di una delle più prestigiose marche di macchine da cucire, di cui prende l'esclusiva per le zone di Massa Carrara e La Spezia.
Dei tre figli di Umberto sopra ricordati, Paolo, nato nel 1941, avrà un tragico destino; infatti muore a 25 anni, lasciando una professione alla quale era particolarmente predisposto: quella di musicista in chitarra classica riguardo a cui aveva frequentato, con ottimo profitto, l'Accademia musicale di Siena, conseguendo poi lusinghieri successi nei vari concerti nazionali. Come gli altri fratelli aveva anche collaborato nella fabbrica paterna in qualità di tagliatore.
Giovanni, nato nel 1933, dopo le esperienze della ditta di famiglia, si trasferisce a Viareggio dove apre un negozio di abbigliamento e, successivamente, una attività fotografica. Claudio, il già ricordato sposo di Chiara, nasce nel 1937. Frequenta il Liceo classico a Sarzana e poi lavora come contabile nella fabbrica
del padre; successivamente collabora con il fratello Giovanni a Viareggio e ancora nell'attività di rappresentanza lasciata dal padre Umberto.
Dal matrimonio celebrato nel 1964 nascono Paolo Alessandro nel 1967 e Valeria nel 1972. Il suo interesse politico verso il Partito Repubblicano Italiano lo rende attivo sostenitore del medesimo, ricoprendo al suo interno importanti incarichi, fino a conquistare la nomina di Consigliere Comunale a Castelnuovo Magra, in cui si guadagna la stima anche degli avversari politici. L'ultima sua attività lavorativa lo vede contitolare con la moglie nel negozio “Confezioni Chiara” presso lo stabile già adibito a fabbrica di pantaloni, fino alla chiusura dell'attività che avverrà nel 1998. Verrà a mancare nel 2003.
La famiglia Nardi del ramo dei “Ciora”
Varie sono le ipotesi dell'origine geografica di questo ramo che alcuni identificano nella zona colombierese di Montefrancio o di via Paradiso; altri ne attribuiscono l'appartenenza geografica all'area fosdinovese di Caniparola, come mezzadri dei Malaspina: interpretazione che potrebbe essere confermata con l'esistenza, fino a qualche decennio di anni fa, di un Nardi gestore della vecchia osteria presso l'Arco di Caniparola.
Il personaggio che ha lasciato il soprannome di “Ciora” ai propri discendenti è un certo Giuseppe Nardi della seconda metà del 1800, ammogliatosi con Bacigalupi Anna “Ané”, e padre di numerosa prole.
Famiglia originariamente vocata all'attività agricola, vede a poco a poco una differenziazione nelle attività lavorative dei propri componenti, ed anche un allontanamento dalla primitiva area abitativa degli stessi.
Dei 9 figli di Giuseppe ed Anna ben 5 sono femmine, mentre i maschi sono Eugenio, Silvio, Enrico e Davide.
Eugenio (classe 1901) molto presto entra in ferrovia; si sposa a Chiavari e torna a Colombiera come pensionato di detta attività. Essendo ancora in buona età, apre un'osteria nel locale prospiciente le fornaci Filippi, in via Aurelia, oggi utilizzato come piccolo deposito di mobili di antiquariato. All'interno del fabbricato, in una saletta a parte, lavora anche il fratello Davide che vi gestisce una barberia con i cespiti della quale arrotonda le entrate di muratore.
Eugenio raggiunge un certo benessere procuratogli dalla mescita di vino, grazie alla numerosa clientela costituita dagli operai della vicina fabbrica di laterizi; differenzia allora la propria attività aprendo un negozio di tessuti e affini in via Canale angolo via della Pace, che in tempi successivi sposterà a Colombiera in un locale precedentemente ampliato da lui stesso e che più tardi, con il corpo di fabbrica sovrastante, costituirà l'abitazione dei propri eredi.
Il fratello Silvio percorre una esistenza molto travagliata, anche in forza della propria personalità contrassegnata da una pronunciata sensibilità e senso di appartenenza alla famiglia. In tempo di guerra, e più precisamente dopo la liberazione, si schiera a favore delle Destre e poi della repubblica di Salò, militando in quell'esercito e partecipando a scontri armati contro i partigiani in area locale. Le circostanze gli forniscono l'occasione di salvare dei partigiani da lui fatti prigionieri, sapendoli, durante l'interrogatorio, conterranei del nipote Elvio schierato - fatalità del destino - nelle file avversarie!
Dopo gli avvenimenti bellici si ritirerà a vita privata, continuando nel suo lavoro di muratore. Enrico condurrà sempre una vita inspirata ai lavori di campagna. Sposato con Lombardi Enrica avrà tre figli: Igino, deceduto per incidente stradale a Ghiarettolo negli anni '50; Alberto (“Arbè”, idraulico) e Mery (andata in sposa a Guido Bernardini).
Davide è stato un personaggio molto conosciuto specialmente dai giovani dei quali sapeva cogliere le istanze in un periodo di grandi cambiamenti politici e sociali, con una sensibilità che gli fece meritare, dopo la guerra, l'incarico di presidente del C.L.N. di Castelnuovo Magra.
Da giovane svolge il lavoro di muratore e barbiere, venendo presto assunto dalla società elettrica C.E.L.I. grazie all'interessamento di un dirigente della medesima che ne aveva apprezzato le capacità lavorative. I suoi meriti gli procureranno la direzione tecnica del reparto edilizia della suddetta azienda.
Sposatosi con la castelnovese Stocchi Argia (della famiglia dei “Michelangeli”, valenti costruttori di carri e veicoli da traino), per alcuni anni si trasferisce a Carrara, per tornare poi a Colombiera a guerra finita.
Davide ha avuto 4 figli: Anna (sposata poi con un Salvetti), Luisa (Isetta, coniugata in seguito con Renato Morachioli), Vanna (ultimogenita maritatasi con Giorgio Tendola “Tomelon”) e Elvio, nato nel 1927.
Elvio, dopo la prima esperienza scolastica presso il ginnasio “Parentucelli” di Sarzana, a causa degli eventi bellici si trasferisce da Colombiera a Carrara con la famiglia. L'ambiente cittadino con i suoi stimoli culturali e sociali, la frequentazione dell'oratorio diretto da Don Rosini e altre circostanze, provocano una rapida maturazione della sua personalità, rendendolo insoddisfatto della successiva frequenza dell'avviamento commerciale di Avenza. A seguito del bombardamento aereo che distrugge quell'edificio e uccide tutti suoi compagni è costretto ad interrompere gli studi.
Ritorna a Colombiera dove, dopo l'8 settembre del '43, maturandosi in lui ben precise idee politiche e istinto di libertà, decide di fuggire nottetempo da casa per aderire alle prime formazioni partigiane dislocate nelle vicine montagne. Giunge, ancora nella notte, in prossimità del “Forte Bastione” dove, stanchissimo, si riposa fino al mattino quando viene scorto da una pattuglia di partigiani che lo conducono al Comando di Marciaso.
Si arruola in quella formazione comandata da un Bernacca di Carrara “Caporalin”. Subito viene informato il padre Davide (già dirigente del C.L.N. di Carrara), ma contemporaneamente anche le guardie repubblichine che rendono consigliabile alla famiglia la decisione di guadagnare rapidamente un nascondiglio ai monti, dove avverrà l'incontro con il figlio Elvio nella zona di Posterla.
Elvio parteciperà ai noti scontri a fuoco del 29 novembre 1944, mentre nello stesso anno, il 23 dicembre, compirà il primo tentativo di passaggio del fronte, tentativo drammaticamente fallito. Ma appena 7 giorni dopo, il secondo tentativo andrà a buon fine, e il giovane Elvio si troverà finalmente in salvo a Serravezza. A Lucca entrerà a far parte di una compagnia di 300 volontari armati, facenti capo alla IIº Brigata Muccini.
Con l'esercito americano partecipa allo sfondamento della “Linea Gotica”, giungendo il 22 aprile del '45 presso Villa Cucchiari di Molino del Piano. Qui gli viene impartito l'ordine, assieme con altri compagni, di oltrepassare nottetempo il fiume Magra a bordo di un anfibio, in avanscoperta per il controllo del territorio ritenuto ancora difeso dai Tedeschi: in quel piccolo “sbarco in Normandia”, Elvio sarà il primo a mettere piede sulla riva opposta del fiume, non trovandovi fortunatamente alcuna resistenza nemica.
Dopo tante traversie, ritorna finalmente a Colombiera, dove può riabbracciare i suoi cari e l'amata Luciana, (sua futura moglie) conosciuta tempo prima durante lo sfollamento a Marciaso, che sposerà il 25 aprile del 1950 (ricorrenza della “liberazione”). Il resto è storia risaputa; tuttavia vogliamo riassumerla per sommi capi.
A guerra finita l'A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia) lo invita a riprendere gli studi presso il convitto “Rinascita” di Milano. Ma l'eccessiva severità dell'ambiente lo inducono a “scappare” e a ritornare a casa, preferendo trovare una occupazione presso le locali miniere di lignite. A nulla valgono i tentativi dei famigliari di fargli proseguire gli studi presso un altro convitto, quello di Reggio Emilia. Elvio preferisce ancora una volta il lavoro in miniera dove resta poi occupato fino alla chiusura dei pozzi; in quel periodo, all'interno della miniera gestita dalla società Marchino, svolge un'attività politica e sindacale e, grazie all'esperienza acquisita, entra a far parte del Consiglio di Amministrazione della cooperativa di recente formatasi, allo scopo di tutelare i diritti dei lavoratori resi incerti dalla congiuntura economica del momento.
Dietro suggerimento della cooperativa, assume l'incarico di addetto alla vendita del carbon fossile, azione che per un certo tempo darà un po' di ossigeno ai lavoratori.
Ma la situazione di crisi delle miniere non si fa attendere e ben presto arrivano le lettere di licenziamento ai dipendenti. Ma Elvio, insieme con altri 5 colleghi, non viene a far parte di questo triste elenco, anzi viene proposto per l'assunzione in altre filiali della Società Marchino sparse nel territorio nazionale. Non accetta l'invito preferendo continuare nell'attività di vendita del carbone e nella lotta assieme con il sindacato per la difesa del posto di lavoro. Ma questa possibilità risulta insostenibile e, dopo quasi un anno di sforzi, si ritira in privato continuando, solo in proprio, l'attività commerciale precedentemente intrapresa. Nel '54-'55 fonda la “Termocasa” e negli anni successivi fino al 1960 commercia in prodotti da riscaldamento liquidi (Kerosene).
Nel 1960 fonda la Kerocosmo potenziando la vendita di prodotti liquidi per riscaldamento.
Divenuto rappresentante di prodotti gassosi liquefatti per uso domestico, fonda l'Alfea Gas a Colombiera emanazione dell'Alfea Gas di Pisa, sponsorizzando la squadra ciclistica omonima.
Nel 2001 la Società Kerocosmo decide di passare tutta la propria attività all'AGIP, tenendo salvi i posti di lavoro dei propri dipendenti, come già era avvenuto nei precedenti anni di attività di questo imprenditore castelnovese.
Nel 1953 dalla moglie Luciana ha avuto la figlia Stefania che oggi vive a Milano con il marito e il giovane figlio Davide.
Elvio Nardi, fortemente impegnato anche nella vita politica, ha ricoperto, negli anni '60, la carica di assessore ai lavori pubblici nel comune di Castelnuovo Magra, per due legislature.
La famiglia Nardi (gli “Aredi”) del “Paradiso”
Di questo numeroso ceppo castelnovese esiste un ramo soprannominato “Aredi” forse per l'abbondante eredità (considerata tale almeno per quei tempi) lasciata di generazione in generazione. In effetti gli “Aredi” erano proprietari di grandi appezzamenti di terra sia nella piana di Luni, sia in località “Paradiso” dove, all'inizio della strada omonima, possedevano anche un gruppo di case formanti un minuscolo borgo chiamato “il casamento”.
Capostipite di questa stirpe è da ritenersi Giovanni Nardi della seconda metà del'800, andato sposo alla compaesana Marchini Maria che gli dà alla luce 7 figli: Agostino, Biagio, Antonio, Giuseppe, Francesco, Domenico e, unica femmina, Santina.
Alcuni di essi si occuperanno di lavori per l'estrazione del marmo presso le cave di Carrara, collaborando così al sostentamento della numerosa prole che ricava le proprie rendite soprattutto dal lavoro dei campi.
In questo capitolo desideriamo soffermarci sulla storia di uno dei 7 figli e cioè di Giuseppe, a causa delle particolari e spesso tristi vicende che lo accompagnano insieme con i suoi discendenti.
Giuseppe nasce in via Paradiso nel 1881. Appena terminata l'età scolare, sperimenta le condizioni del duro lavoro che sostiene non soltanto nella terra, ma anche presso le cave di Carrara, a Fantiscritti, dove si reca ogni mattina a piedi, ma anche più tardi presso le fornaci Saudino di Sarzana, dove, alla fatica quotidiana del viaggio, unisce quella del pesante lavoro ai forni. Infatti i laterizi appena cotti e ancora caldissimi vengono estratti con le mani nude e protette talvolta dalla stoffa del pesante cappello perennemente calzato dal giovane Giuseppe. Per arrotondare i magri cespiti da lavoro, svolge anche l'attività di calzolaio rivelando grande versatilità artigianale.
Ai primi del 1900 si sposa con Celsi Laudina di Manarola. Date le precarie condizioni economiche dei due fidanzati, il matrimonio viene effettuato attraverso la “fuga” che i due innamorati - col tacito consenso delle famiglie - attuano nottetempo, guadagnando la provvisoria ospitalità del fratello Agostino abitante all'Olmarello in località “Pian dell'àse”. Dall'unione nascono tre femmine: Irma, nel 1909; Aurelia, nel 1912 e Giuseppina che il padre non avrà modo di conoscere essendo deceduto appena 4 mesi prima che la figlia nascesse. Il tragico avvenimento merita di essere ricordato nei dettagli.
Dunque: Giuseppe viene richiamato alle armi nel conflitto '15 '18. Il 5 settembre del 1918 il cognato Rolandi Giovanni gli invia una cartolina postale nella quale lo invita a sollecitare una licenza agricola in vista dell'imminente campagna vinicola. Giuseppe ottiene il permesso, ma il giorno del rientro al proprio reparto perde la “tradotta” ed è costretto a rimandare la partenza di tre giorni. Non avendo comunicato al proprio Comando le cause di tale ritardo, al suo rientro viene accusato di diserzione e condannato alla fucilazione! Prontamente il comando dei carabinieri di Castelnuovo Magra informa i dirigenti militari su tale contrattempo, dando pure informazioni sulla buona fede del soldato Giuseppe Nardi, ma soprattutto della sua onestà di cittadino e di lavoratore.
Il Comando prende atto di tutto ciò, tuttavia per punizione invia Giuseppe in prima linea dove contrae la broncopolmonite acuta. Ricoverato presso l'ospedale militare di Peschiera, muore il giorno 11 novembre del 1918, appena sette giorni dopo la fine della guerra.
La moglie Laudina incinta
di Giuseppina (che come ricordato nascerà 4 mesi più tardi, il 5 marzo del 1919) non viene avvisata del grave lutto e d'altro canto i famigliari non hanno i mezzi finanziari per recarsi a Peschiera (!). Soltanto molto tempo dopo la figlia Giuseppina, nella piena maturità degli anni, riuscirà a raggiungere Peschiera per rendere il proprio tributo d'affetto al padre, che tuttavia non troverà subito perché la salma era stata trasferita all'ossario di quella città.
Giuseppina non era nuova a questi incontri drammatici sulla via della propria esistenza, poiché fin da bambina - come tutte le bambine di quel tempo - aveva toccato con mano le difficoltà del vivere quotidiano, pochi divertimenti, scarsità di cibo costituito da quei pochi alimenti che la terra poteva dare ad una famiglia tanto numerosa: panigacci, polenta, “fugazzine”, torte di “marocco” e così di seguito. Attività lavorative: nessuna, salvo prestare la sua opera di ragazzina (ancora bisognosa a sua volta di attenzioni) come baby-sitter di bambini appena più piccoli di lei. All'età di 14 anni entra come lavorante alle fornaci Filippi che, nonostante la gracile costituzione di questa giovinetta che non le rende produttivo il lavoro, la assumono perché orfana di guerra. Ma durante l'inverno le fornaci rallentano sensibilmente la produzione e la povera Giuseppina trova il compenso occupazionale, e quindi salariale, presso le locali miniere di lignite dove viene impegnata nella cernita del carbon fossile e nelle operazioni di lavaggio della carbonella.
Il matrimonio con Grassi Ettore, avvenuto nel 1940, non le dà quella pace che meritava. Infatti gli ultimi eventi bellici la costringono a fuggire dalla primitiva abitazione di via Paradiso dove era cresciuta con i propri affanni e i propri affetti, e dove le cannonate e le bombe minacciavano la distruzione dell'intera famiglia; si rifugia a S. Rosa con i bambini piccolissimi, e lontana dal marito fatto prigioniero dai tedeschi durante il drammatico rastrellamento del 29 novembre 1943.
Ettore, il caro Ettore, la lascerà, morendo, nell'anno 1966 alla ancor giovane età di 55 anni.
Vogliamo affermare che i figli Danilo e Gabriella hanno ricevuto da questa donna, oggi contornata dall'affetto dei numerosi parenti, una grande eredità: quella dell'amore verso i figli e, nonostante tutto, verso la vita!
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