Famiglia MORACHIOLI
MORACHIOLI, MARCHIORI, MARCHIORRI: questi nomi potrebbero derivare da un soprannome legato al mestiere di muratore. Potrebbero derivare, altresi, dal termine latino “Maurus” derivato a sua volta dal greco “mauròs”, con il significato di “scuro”.
La famiglia Morachioli compare per la prima volta, nei registri castelnovesi, col nome di Domenico di Giovanni, battezzato il 17 giugno 1574.
Nel corso degli ultimi 50 anni la pianura del comprensorio castelnovese ha subito una tale trasformazione urbanistica - tuttora in corso dopo l'approvazione del recente Piano Urbanistico Comunale - da rendere alterato l'antico assetto topografico; si che un cittadino che tornasse in queste terre dopo una lunghissima assenza, stenterebbe qualche volta a riconoscerne il vecchio aspetto.
Questo è lo scotto che si deve pagare all'avanzamento di un troppo rapido progresso che pretende i suoi giusti diritti, ma che spesso distrugge testimonianze centenarie.
Nel redigere questa ricerca sulle più significative famiglie castelnovesi, spesso abbiamo avuto l'occasione di “rivisitare” fatti e realtà atti a recuperare ciò che ha costituito la “storia minore” del passato, ma che merita di essere tramandato per la futura memoria.
La famiglia Ricci Morachioli di Colombiera
Capostipite della famiglia Morachioli può ritenersi Angelo di Montefrancio nato nel 1865 a Castelnuovo ed imparentato con la famiglia Ricci per via del capostipite di questa, Giovanni, nato pure egli a Castelnuovo Magra nel 1860, di professione artigiano edile.
Morachioli Angelo, mediatore immobiliare, ha l'opportunità di acquistare, alla fine del 1800 da alcuni proprietari di Sarzana, una estensione di circa 100.000 mq di terreni agricoli con annesse case coloniche. In detta area gradualmente è sorta la più grossa frazione del comune di Castelnuovo Magra e precisamente “La Colombiera”. Il lavoro di costruzione di molte abitazioni (tutte di modeste dimensioni) fu condotto dall'impresa artigianale Ricci ed in parte dai familiari succeduti poi.
Scorriamo ora in parallelo le discendenze delle due famiglie Morachioli e Ricci.
Da Morachioli discendono Ernesto, Dante, Imene, Lina ed altri figli.
Dante, dotato di spirito commerciale, negli anni '30 inaugura a Colombiera il primo negozio di generi alimentari con annesso forno a legna per la panificazione in cui lui stesso lavora, realizzando prodotti che riscuotono un grande credito non solo presso la popolazione locale, ma anche nella vicina città di Sarzana, dove Dante si reca ogni giorno, colà atteso da molti clienti. Il negozio conoscerà una rinnovata fortuna quando verrà gestito dalla figlia Giovanna la quale negli anni '70 rinnoverà completamente la vendita dei generi alimentari, istituendo il primo servizio di self-service della zona. Anche il forno inizierà una nuova catena di cottura del pane con forno a vapore, potenziando nel contempo la produzione di articoli dolciari: il famoso “seccone”, nato da una segreta ricetta di Giovanna, costituirà per molto tempo il fiore all'occhiello di questa attività, espandendo il nome della Colombiera anche in territori assai lontani.
Ernesto, “Arné”, rivela grande attenzione verso il commercio, promovendo, negli anni a ridosso dell'ultimo conflitto mondiale, la istituzione della prima cooperativa di generi alimentari, operante nei locali di sua proprietà a Colombiera, cooperativa che sarà poi gestita per molti anni dal presidente Giacomelli Fortunato, per trasformarsi poi in negozio privato fino alla fase di definitiva chiusura nel 2003.
Nel contempo Ernesto, presso i locali di sua proprietà di via Aglione (oggi via Provinciale) istituisce il primo mattatoio della zona, con annesso negozio di macelleria, e nel medesimo fabbricato ospita la sede E.N.A.L. con relativo gioco di bocce e sala di bigliardo: circostanze che contribuiscono allo sviluppo commerciale di Colombiera. Consapevole dell'importanza che tale frazione sta via via assumendo sul piano economico, non oppone resistenza, anzi favorisce apertamente la richiesta del Comune di privarlo di una buona fetta di terreno di proprietà sua e del fratello Imene, per costruirvi l'attuale piazza che ha mutato profondamente l'aspetto della frazione, migliorandone anche la viabilità.
Vogliamo infine ricordare la figlia Lina (nata ai primi del 1900) con la quale si aprono le parallele vicende della famiglia Ricci.
Infatti Lina va in sposa a Fernando (uno dei figli del capostipite Ricci Giovanni suaccennato) che come il padre esercita il mestiere di artigiano edile. Molte della case di Colombiera vengono costruite con la sua impresa. Dal matrimonio nascono molti figli che diversificheranno profondamente le proprie attività lavorative, pur continuando ad amministrare il patrimonio terriero in parte rimasto indiviso, costruendo nuove case per proprio uso o modificandone altre per fini commerciali. Per dovere di cronaca vogliamo ricordarli: Renato (Rino) sottufficiale della marina mercantile; Sauro; Vito ex capitano di lungo corso; Giovanni commercialista.
Non possiamo a questo punto ignorare le circostanze che legano la famiglia Morachioli con le Miniere locali. Infatti a seguito degli eventi fra la prima e la seconda guerra mondiale che rendevano urgente l'approvigionamento di fonti di energia, una parte della proprietà di Morachioli Angelo, il cui sottosuolo era classificato “zona mineraria”, venne occupata su concessione statale dalla Società mineraria Marchino & C. di Casale Monferrato, per l'estrazione del carbon fossile (lignite picea). Furono aperti numerosi pozzi per l'estrazione di carbone destinato a diverse industrie come le fornaci Filippi, quelle di Saudino, le cementerie Marchino di Casale Monferrato, la Società Pertusola di Romito per l'estrazione del piombo.
Al termine del IIº conflitto mondiale le miniere vennero abbandonate per ragioni economiche: infatti la scarsa qualità del carbone in relazione ai parametri chimico-fisici richiesti, rendeva più vantaggiosa l'importazione di combustibili fossili da altri paesi europei e d'oltre Atlantico.
La famiglia Morachioli della discendenza da Enrico Davide
(Davì) di Colombiera
Una delle figure più popolari rimaste nella memoria dei vecchi abitanti di Colombiera è quella di “Davì”, al secolo Davide Enrico Morachioli, nato nella seconda metà del 1800 in detta frazione.
“Davì” aveva sposato Nardi Assunta che in età giovanile aveva avviato un piccolo commercio di alimentari in un vecchio edificio di Colombiera, oggi scomparso a seguito del nuovo assetto viario, e che fu per molto tempo una fonte di reddito per la famiglia “Vandina” rimasta vedova in giovane età e della quale si parla in un capitolo a parte.
Anche Davì è attivo nel commercio, e precisamente in quello della frutta che acquista direttamente presso i fornitori di Tendola, Caprignano, S. Terenzo ai Monti e altrove, dove si reca per l'approvvigionamento settimanale col proprio barroccino trainato da cavallo. Provvede poi a immagazzinare la suddetta merce in un proprio locale in Colombiera, in attesa della necessaria maturazione per la rivenderla poi presso il mercato giornaliero di Carrara.
Il magazzino viene così inondato dei gradevoli profumi della frutta ben ordinata in cassette su appositi scaffali, in cui fan bella mostra di sé: pere, pomi “rodéi”, fichi, “sosene”, cachi, castagne, noci e tutto ciò che madre natura offriva nelle varie stagioni.
Davide (ma molti ne accentavano la “i” per dare più corpo al nome (Davìde) si mostra molto aggiornato sulle tecniche di maturazione di quelle derrate: buona aerazione, temperatura adeguata, sistemazione idonea, ma soprattutto - per quanto riguarda i cachi molto richiesti in quei tempi di miseria - uso della paglia e del carburo di calcio. Quest'ultimo di difficile reperimento (le locali miniere di carbone non erano ancora fortemente sviluppate) veniva procurato da un certo amico di Davìde che lo prelevava presso l'Arsenale Militare di La Spezia dove lavorava come operaio saldatore. L'uso di tale prodotto era assai pericoloso per l'eventuale esplosione dell'acetilene prodotta a contatto con l'umidità, fatto che si era già verificato ai danni di una concorrente locale (una certa “Raspona”) che aveva subìto la distruzione del magazzino.
Davì partecipa alla prima guerra mondiale, restando prigioniero degli Austriaci che lo internano in un campo di concentramento a regime molto duro. Lui stesso a guerra finita racconterà ai figli e ai nipoti, nel corso di riunioni conviviali a base di ricche “mangiate” e di abbondanti libagioni, quanto aveva sofferto in quella prigione, e come spesso si procurava il cibo fra gli scarti della cucina o fra le radici commestibili della terra. Per tutta la vita, fino a che le forze glielo consentiranno, il nostro Davì commercia in frutta, trasportandola come sopra accennato sulle piazze di Carrara.
Personaggio dedito al bere, non disdegna occasione che gli procuri un buon bicchiere di vino, per cui, durante il quotidiano viaggio al mercato, fa sosta in ogni osteria per l'appuntamento con il dio Bacco, iniziando … l'incontro fin dal luogo di partenza dove la cantina Rizieri apriva le porte già al mattino presto.
Il buon cavallo, avvezzo a quello che ormai era diventato un rituale, si fermava spontaneamente davanti alle porte delle bettole, anche senza l'ordine del padrone. Lungo il percorso ne esisteva una, in località “Gildona” sul viale per Carrara, fornita di una ottima qualità di vino, veramente degna dell'esigente palato del nostro vetturino. Un giorno il cavallo, durante la solita sosta, avvedendosi che il padrone si era profondamente addormentato a cassetta, emise un tal numero di nitriti da svegliarlo di soprassalto. E ne aveva ben donde quel ronzino! poiché l'osteria aveva un vino degno di quel “EST-EST-EST” di lontana memoria e di cui facciamo cenno.
Si racconta che il vescovo tedesco Fugger amante del buon bere, in pellegrinaggio verso la Città Santa, si era fatto precedere lungo la Via Francigena da una staffetta col compito di apporre la sigla latina “EST” (“è lui”) sulle porte delle locande che avessero avuto un buon vino. Giunto a Montefiascone (dove è sepolto il vescovo Fugger) il messo scoprì una locanda che meritava la sigla “EST-EST-EST” … Il vescovo vi soggiornò a lungo…
Il nostro personaggio Davì viene ancora oggi ricordato per il carattere cordiale, ma rispettoso, tanto che ad ogni incontro con giovani o vecchi, con bambini o novantenni, era il primo a rivolgere il saluto con un proverbiale “Buon giorno, giovane!”. Nei momenti di riposo si sedeva su un muretto o su una sedia possibilmente in vicinanza dell'osteria, fumando un mezzo toscano che, consumato fino alle dimensioni di mozzicone, spengeva con le dita continuando poi a gustarlo ciccando, regalando una nera saliva tutt'intorno per l'abbondante scialorrea che tale pratica produceva.
Divenuto vecchio sembrava non temere la morte, anzi si augurava di incontrarla in stato di ubriachezza poiché “la morte più bella - declamava spesso - è quella dell'annegamento in una botte di vino”.
Per nulla permaloso di fronte a qualsiasi offesa o contrasto, augurava ogni bene a tutti affermando: “Me a te auguro che tutto 'r male che a' vòi per me i' te venisse a te!”.
Davì è scomparso dalla scena della “vecchia Colombiera” lasciando buoni ricordi e … tre figli nati dal suo matrimonio con Assunta: “Vandina” (poi sposata ad un Ricci), Luigi (Gigi) e Dante, tutti oggi deceduti.
Dante si rivelerà un ottimo falegname oltreché - degno erede del padre - un discreto amante del vino. Non avrà figli.
Luigi, nato nel 1908 consegue il diploma di licenza complementare nel 1925, impiegandosi subito presso le locali Fornaci Filippi forte a quel tempo di circa 200 operai, rimanendovi come amministratore per ben 40 anni, fino all'età della pensione.
Sensibile ai bisogni dei lavoratori per buona parte analfabeti, si prodiga per qualsiasi loro necessità, riscuotendo stima e simpatia che ancor oggi vengono riconosciute da molti ex dipendenti. Le sue ottime capacità amministrative gli fanno meritare la nomina a revisore dei conti presso il Comune di Castelnuovo Magra, mentre poco tempo addietro era stato promotore, come socio, della Cooperativa di consumo di Luni.
Durante l'ultimo conflitto mondiale lavora instancabilmente presso le fornaci Filippi, continuando la sua opera in periodo di piena occupazione tedesca, non trascurando interessi assai diversi come l'adesione al Touring Club Italiano dove nel 1944 compare con la carica di console.
I suoi interessi per lo sport lo vedono sostenitore della Unione Sportiva Luni fondata nel 1923.
Nel 1946 acquista a Livorno una FIAT “Topolino” usata, regolarmente munita di ruota di scorta fissata all'esterno (!), e nel 1957 acquista una FIAT “Giardinetta”, la prima nella frazione di Colombiera.
Raggiunta la pensione collaborerà dapprima con la “Termocasa” e poi nella “Kerocosmo”.
Si era sposato nel 1932 con Masetti Dina, “Ilia”, e aveva avuto due figli: Sandro e Paolo.
Sandro, dopo la frequenza presso l'Istituto per Ragionieri “D. Zaccagna” di Carrara, lavora per circa 2 anni presso la Società Refrattari Verzocchi di La Spezia, poi a tempo pieno nella neonata “Termocasa”, da lui stesso fondata con Nardi Elvio e Pastine Agostino, (“Il Conte”), con sede a Colombiera: una società commerciale che si rivelerà vincente in un periodo in cui si sviluppa notevolmente la richiesta di apparecchi elettro-termo-domestici. La buona organizzazione commerciale, l'impegno dei soci e delle maestranze e il prestigio dei marchi rappresentati (Philco, Ignis, Becchi, Olmar, ecc.) fanno guadagnare alla giovane ditta una piazza commerciale molto vasta che copre parte della Versilia, Massa Carrara, La Spezia e la Lunigiana.
Col tempo la Società si ridimensiona, con la vendita di quote azionarie a nuovi imprenditori che continuano quell’attività.
Paolo si diploma perito elettrotecnico, lavorando poi per molti anni nella Società Termocasa come tecnico radio-televisivo. Dopo una esperienza come tecnico in Sudafrica, si impiega alle dipendenze della Kerocosmo come esperto nel settore dei computers, dove realizza l'intera rete nel reparto computerizzato. Oggi è in pensione.
La famiglia Morachioli (i “Leò”)
Ricostruiamo la breve storia di questa famiglia attraverso le testimonianze dell'ultimo discendente Augusto Leonida abitante a Castelnuovo paese in via Roma.
I suoi ricordi ci riportano al nonno omonimo Leonida (chiamato col diminutivo “Leò”, futuro soprannome dei discendenti), nato nel 1880 dal matrimonio fra Corrado e Clotilde (“Cotì”). Aveva ben 11 fratelli ai quali la madre Clotilde, molto longeva, sopravvisse.
Leonida teneva bottega di sarto in via Dante. Uomo di temperamento mite si era sposato con la compaesana Eglina Petacco la quale, contravvenendo alla tradizione di questo casato, gli aveva dato soltanto due figli: Gino e Renata.
Eglina era donna assai energica, dal contegno autoritario e volitivo, vero “capo famiglia” capace di traghettare, attraverso l'infido mare di quei tempi pieno di difficoltà economiche, l'intera famiglia che peraltro si era appesantita per la presenza dei nipoti rimasti orfani del padre “disperso” durante la campagna di Russia. Dopo il matrimonio aveva aperto un'osteria nella centrale via del paese, arricchendola di servizio di caffè; preparava lei stessa l'aromatica miscela tostandone i chicchi con apposito arnese e filtrandone poi la “polvere” in una grossa “napoletana”. Con l'avanzare di tempi moderni aveva provveduto a installare nel locale anche un biliardo (forse uno dei primi nel nostro comprensorio) e successivamente un televisore.
Nel locale spesso scoppiavano delle risse fra giocatori di carte i quali, in preda ai fumi del vino, facevano volare qualche spintone o promettevano gravi minacce; ma Eglina sapeva intervenire prontamente, spesso sollevando di peso qualche facinoroso e scaraventandolo fuori dell'uscio. Eglina morirà nel 1960.
Il figlio Gino, nato nel 1906, è stato un uomo che dopo 45 anni di ininterrotta attività presso l'ufficio anagrafe del comune di Castelnuovo, ha lasciato un ottimo ricordo in tutta la popolazione. Estremamente cordiale e sempre disponibile col pubblico, conduceva l'ufficio con la meticolosa precisione che quei tempi, ben lontani dagli attuali sistemi computerizzati, richiedevano ai singoli impiegati. Aveva una buona parola per tutti e di tutti sapeva “vita, morte e miracoli” non solo attraverso i dati anagrafici, ma soprattutto per le confidenze di cui era simpatico ed affidabile oggetto.
All'età di 18 anni, già sensibilizzato dal padre, entrò a far parte della locale banda musicale, fondata fin dai primi del '900 da Armando Ponzanelli. Suonava il filicorno tenore e il trombone: strumenti che spesso usava per dare la sveglia, di mattino presto, al figlio Augusto, suonandogli nelle orecchie le note del “Barbiere di Siviglia” o la “Marcia trionfale dell'Aida”.
Versatile in tutto ciò che richiedeva un certo gusto artistico, si rivelò abile artigiano del ferro e del legno, costruendo lampadari, modellini ferroviari e plastici per il figlio.
Tuttavia il campo artistico in cui emersero le sue migliori doti fu il teatro. Fin da giovanissimo aveva recitato nella compagnia filodrammatica di Marco Praga, fondata da Bruno Mezzena, interpretando ruoli impegnativi in vari spettacoli d'autore.
La Compagnia, improntata a rigorosa professionalità, era conosciuta da un vasto pubblico che l'applaudiva non solo nei teatri della provincia spezzina ma anche in quelli regionali.
Gino Morachioli è scomparso nel 1991 lasciando in eredità al figlio Augusto (fratello di Annabella) una grande sensibilità artistica sia nel campo musicale che in quello teatrale.
Infatti Augusto, dopo aver appreso i primi rudimenti musicali dal maestro Mario Celsi, ha partecipato ( e vi partecipa tuttora) alla corale “Lorenzo Perosi”, fondata dal farmacista Adriano Rocchi, e che tanti successi riscuote da molto tempo anche all'estero. La notorietà di questo “figlio d'arte” è legata soprattutto al teatro nel quale ha fatto le prime esperienze nel 1992. In quell'anno, in occasione della ricorrenza della storica “pace di Dante”, Nadia Taraballa, allora facente parte del comitato di quartiere, gli aveva suggerito di realizzare qualche iniziativa per tale occasione. Augusto scrisse di getto la commedia “La pace di Dante” in lingua dialettale che venne rappresentata la prima volta in piazza Querciola, ottenendo un successo molto incoraggiante.
Augusto è stato presente in seguito, come primo attore, nelle brillanti rappresentazioni teatrali tradotte nel vernacolo locale e dirette da Nadia Taraballa nella Compagnia “I mei che gnente” che da 10 anni di ininterrotta attività riscuote un crescente consenso di critica e di pubblico.
Augusto Morachioli ha sposato Morachioli Amalia (figlia del noto impiegato comunale Cesare), ed oggi è collaboratore presso la farmacia Pucci-Rocchi.
La famiglia Morachioli (dei “Marcòn”)
Nella storia della filosofia, Socrate rappresenta il primo maestro che il mondo occidentale abbia conosciuto attraverso l'opera “Fedone” di Platone. A Colombiera di Castelnuovo Magra questo nome ci ricorda non “un” maestro ma “il” maestro, nella persona di Socrate Morachioli, uno degli ultimi discendenti di una famiglia soprannominata, da tempi assai lontani, “dei Marcòn”.
“Marcòn” era il nomignolo assegnato ad un certo Marco di corporatura tarchiata e robusta, per distinguerlo da un compaesano di esile costituzione, soprannominato per l'appunto “Marchetto”.
Marco Morachioli era padre di Giuseppe il quale, nato nel 1865 a Castelnuovo, si era sposato con Nardi Maria e con essa abitava nell'edificio che, profondamente modificato negli anni, oggi è abitato dal suo discendente Socrate.
Era una casa di contadini, col piano abitativo distribuito sopra diversi locali usati in parte come stalla ed in parte come cantinone per la vendita di vino al dettaglio.
Giuseppe teneva a mezzadria una estesa proprietà della parrocchia di Castelnuovo ed era conosciuto come “il prete dei Marcòn”. Ebbe 7 figli di cui 5 femmine che, andando spose a vari compaesani, diedero luogo ad una serie di ceppi famigliari, tutti imparentati tra loro, e che oggi a Colombiera costituiscono una rilevante parte della popolazione.
I figli maschi erano Michele e Sante. Michele, nato nel 1888, continua il lavoro di contadino su terreni propri. Richiamato al fronte durante la prima guerra mondiale, interrompe ogni attività, sopravvivendo a pericoli e sacrifici facilmente immaginabili. Ritornato alla vita civile, riprende appieno il vecchio lavoro prodigandosi anche, insieme col fratello Sante, nella fondazione della Società di Mutuo Soccorso di Castelnuovo.
Si sposa con Enrica Tonelli di Montecchio ed ha quattro figli: Alba, Renato, Vito e Maria. Viene colpito da una paresi che lo costringe su una sedia a rotelle, ma non lo limita nelle sue capacità di amministrare i propri beni con l'aiuto dei figli.
Renato intraprende la carriera in Finanza raggiungendo il grado di maresciallo; sposa Nardi Isetta sottoponendosi più tardi a svariati trasferimenti in alta Italia e in Sicilia per motivi di servizio.
Ha una figlia, Tiziana, la quale, ex insegnante di lettere, ha sposato Guido Ferrari docente universitario. Renato, dopo aver raggiunto la pensione, lavora in amministrazione presso l'azienda petrolifera del cognato Nardi Elvio. Colpito da male incurabile si spegne in età ancora giovanile.
Il fratello Vito nasce nel 1925. Dapprima svolge il lavoro di contadino col padre, ma successivamente si apre ad esperienze commerciali iniziando la vendita al dettaglio del carbone estratto dalle miniere di Colombiera; più tardi svolge il lavoro di muratore alle dipendenze della ditta Rossi Mimo distinguendosi per operosità e correttezza. E' deceduto nel pieno della sua maturità, lasciando la moglie Gabriella Baldoni e il figlio Manrico che oggi è titolare di una agenzia immobiliare.
Sante Morachioli (più noto come Angiolino) nasce nel 1890. A 20 anni fa parte del contingente italiano nella guerra di Libia del 1911. Dopo il conflitto viene assunto come fresatore presso lo stabilimento O.T.O. di La Spezia, grazie all'interessamento dell'ing. Dujardin. Lo scoppio del primo conflitto mondiale lo costringe ad indossare ancora la divisa militare in fanteria. Dopo il ritorno alla vita civile sposa l'omonima, ma non parente, Morachioli Luigia la quale, avendo ottenuto in dote un terreno in via Aglione (oggi via Provinciale) confinante con quello del marito, ha occasione di costruirvi un piccolo appartamento dove i due coniugi vanno ad abitare. Nella casa viene installato un negozio di generi alimentari rilevato dalla zia Nardi Assunta (“Santina”). Sante, pur continuando a lavorare come fresatore presso l'O.T.O. Melara di La Spezia obbedisce al proprio spirito di iniziativa rilevando la vecchia rivendita di vino dei genitori trasferita a suo tempo in via Aglione, e convertita per l'occasione in osteria della quale più tardi diverrà titolare il cognato Lombardi Rizieri.
Per tutto il corso della seconda guerra mondiale, Sante prosegue il lavoro presso i cantieri di La Spezia e al termine del conflitto partecipa alla loro occupazione tesa a convertire la produzione bellica in produzione civile per evitarne la conseguente chiusura. Ritiratosi finalmente a vita privata, viene premiato con medaglia d'oro per la lunga attività svolta. Sante nel periodo fra le due grandi guerre aveva avuto tre figli: Bianca nel 1917, Socrate nel 1920 e Giuseppina nel 1932.
Bianca trascorre l'infanzia e la giovinezza presso lo zio Don Giuseppe parroco di Riano (Langhirano) dove conosce Pietro Montali con cui si sposa ed ha una figlia, Rosanna. La famigliola si trasferisce a Colombiera dove Bianca rileva il negozio dei genitori gestendolo per molti anni.
Giuseppina (Pina), dopo la frequenza delle scuole medie a Massa, aiuta la madre nella conduzione del negozio, sposandosi poi con Storti Lido con cui ha avuto una figlia, Simonetta.
Socrate si diploma presso l'istituto magistrale di Pontremoli, accreditandosi il merito di essere il primo diplomato, in ordine di tempo, della frazione di Colombiera. Dopo il diploma è militare al corso allievi ufficiali di Pietra Ligure, avendo l'occasione, nel frattempo, di fare l'istruttore delle reclute delle classi 1921 e '22 a Imperia. Tuttavia, a causa del sopraggiungere dell'armistizio del 1943, deve interrompere tale impegno, col rientro a casa. Prelevato dalle forze di occupazione tedesche viene costretto a lavorare con la famosa organizzazione TODT a Bocca di Magra, riuscendo dopo qualche tempo a sottrarsi a tale obbligo, con la fuga. Superati i drammatici momenti del “passaggio del fronte”, inizia un lungo e faticoso cammino di insegnante elementare che lo porterà spesso a svolgere la sua funzione in zone assai disagiate e che lo costringeranno a restare “in sede” per lunghi periodi dell'anno.
Dapprima è maestro in un modesto locale a Canale, “da Pinzelo”. Poi, in successione, lo attendono sedi assai disagiate, difficilmente raggiungibili, come quelle di Beverone sopra Rocchetta Vara, Vallecchia, Ortonovo paese, Giucano. E' ancora presente a Castelnuovo, a Sarzana, e finalmente …. nella vicinissima sede di Canale dove potrà svolgere il servizio fino al raggiungimento della pensione.
Per il lungo periodo di insegnamento riceverà un attestato di benemerenza.
Personaggio sensibile agli impegni pubblici, partecipa come presidente al primo Comitato di Quartiere istituito a Colombiera verso la fine degli anni '70, adoperandosi con serietà e competenza in importanti istanze popolari riguardanti opere di primaria importanza, come la realizzazione del centro sportivo di Canale, quella del nuovo profilo viario di via Provinciale a Colombiera ed in altre questioni di rilievo.
Sposato con Valda Ridondelli - della quale è rimasto vedovo recentemente - ha una figlia: Nicoletta che, dopo la maturità scientifica, ha frequentato per qualche tempo la facoltà di Scienze Naturali dell'Università di Pisa.
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