Famiglia MARCHINI
MARCHINI, MARCO, MARCHI, MARCHETTI, MARCHIOLI, MARCOLINI, MARCONI: derivano dall'antico praenomen romano da “Marticus” (da Mars, Martis).
Cognome diffuso in tutt'Italia, anche per la diffusione del culto a San Marco, patrono di Venezia.
La prima comparsa a Castelnuovo è dovuta a Lucchetto di Caprignano di Fosdinovo, sposato a Castelnuovo con Angela Marciano il 6 agosto 1593. A questo matrimonio ne seguirono altri, tra i Marchini di Caprignano e cittadine castelnovesi, in particolare:
Giovanni del fu Francesco, sposato il 2 giugno 1662 con Cecchinelli Antonia,
Giovanni del fu Battista, sposato il 3 febbraio 1666 con Minucciani Margarita,
Susanna del fu Battista, sposata il 6 ottobre 1664 con Beverino Francesco.
Famiglia Marchini (”Turriddo”)
Quella dei Marchini appartiene alle famiglie più antiche insediatesi a Colombiera di Castelnuovo Magra; ma le notizie certe più remote risalgono soltanto a Umberto Marchini, nato a Castelnuovo Magra nel 1886, fratello di Vittorio trasferitosi quest'ultimo in Francia ai primi del 1900 e di cui si sono praticamente perse le notizie.
Umberto, ancora giovanissimo, emigra in America, ma durante il periodo di leva militare è costretto a ritornare in Italia onde evitare l'accusa di diserzione. Si sposa con Ricci Giulia di Castelnuovo dalla quale ha quattro figli: Libero (da tutti meglio conosciuto come Turiddo), Diana, Mauro (Maurino) gli ultimi due ancora viventi, e Angelina, morta ai primi degli anni 80.
Umberto rivela ben presto un pronunciato spirito imprenditoriale nel settore delle costruzioni, facendo tesoro delle tecniche di lavoro acquisite durante il soggiorno americano; partecipa - vincendole - a molte gare di appalto per grandi opere pubbliche, oltre a quelle private. Con dimora a Castelnuovo, è uno dei primi costruttori che adoperano localmente il cemento armato, e la sua attività si allarga a poco a poco in tutta la piana del Magra, da Ameglia a Sarzana e ancora a Castelnuovo Magra; qui realizza il sottofondo dell'attuale via Provinciale, dall'innesto con la via Aurelia fino al capoluogo; l'opera gli è facilitata dall'utilizzo del famoso “marciaferro” residuo dell'estrazione e cernita delle locali miniere di lignite, assai abbondante a Colombiera. La ditta “Marchini Umberto”, forte di varie decine di operai, la vediamo presente in opere di grande importanza, come quella del Canale Lunense dove viene chiamata per la costruzione dell'alveo e delle sponde in cemento, nonché per le varie chiuse di diramazione, nel lungo percorso da S. Stefano a Ortonovo. A Sarzana è presente nell'edificazione dell'intera ala destinata a raccogliere il ginnasio Parentucelli (oggi sede degli uffici della Guardia di Finanza) presso le famose “Missioni”. In subappalto realizza le ex centrali elettriche di via Paci e di viale Mazzini a Sarzana, superando brillantemente in quella circostanza complessi problemi finanziari. In piazza Matteotti, allora piazza Vittorio Emanuele, provvede a sistemare il monumento ai caduti, realizzato dallo scultore Carlo Fontana. La sua attività è presente anche a S. Lazzaro dove fonda l'attuale fabbrica di manufatti in cemento (attigua alla Chiesa), utilizzando poi buona parte di questi per le opere di ampliamento del campo di aviazione locale, resesi necessarie per l'impiego di aeroplani da bombardamento largamente usati nella guerra contro la Spagna(1936): nella suggestiva foto d'epoca si vede un momento della lavorazione (con largo uso di buoi!) in cui Umberto Marchini appare al centro, alla sinistra del bambino (per chi guarda).
Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, e precisamente dopo l'8 settembre del 1943, interrompe ogni attività imprenditoriale in quanto tutte le attrezzature di cantiere immagazzinate nell’ area dell'aeroporto vengono asportate da ignoti.
A guerra finita Umberto Marchini si trasferisce con tutta la famiglia in Argentina da dove rientra dopo una breve esperienza lavorativa.
Si spegnerà a Castelnuovo Magra nel 1950. Il di lui figlio primogenito Turiddo era nato nel 1913: dotato di un fisico atletico inizia molto presto l'attività di calciatore; viene dapprima impegnato nella squadra Sarzanese per passare presto alla Carrarese. Ma le sue ottime qualità di giocatore gli procurano l'ingaggio dapprima nella Fiorentina, poi nel Genoa e più tardi nella squadra Lucchese. Nel1936 partecipa come attaccante della Nazionale (comandata dal c.t. Pozzo) ai vittoriosi giochi della XI Olimpiade di Berlino: nella foto scattata in quell'occasione lo si riconosce facilmente nell'atto di allacciarsi una scarpa: si dice che questa “posa”, differente da quella dei compagni di squadra, è voluta di proposito da Turiddo, quasi a sottolineare il suo carattere “ribelle” e anticonvenzionale che peraltro lo accompagnerà negli anni a venire, ma che gli procurerà non pochi fastidi.
Dopo i fasti di Berlino viene venduto alla Lazio dove gioca per molte stagioni col grande Silvio Piola.
I suoi modi impulsivi e intemperanti gli procurano una squalifica a seguito della quale dapprima passa nella compagine del Torino e infine, dopo varie vicende, alla Carrarese. Grazie ai suoi grandi meriti sportivi, che hanno raggiunto il massimo livello alle Olimpiadi di Berlino, ha conseguito la medaglia d'oro al valore atletico.
Dopo la carriera di calciatore si trasferisce, con tutta la famiglia, a Torino dove trova impiego per lungo tempo alla Manetti e Robert's. Rientra infine al paese natio di Colombiera trasferendosi poi da ultimo a Trieste dove prima del recente decesso ha vissuto con la moglie Gianna e la figlia Gabriella, mentre il figlio Berto vive ad Asti.
La sorella Diana attualmente abita a Roma: aveva sposato Ravanelli Davide, fotografo con studio in via Margutta, da cui ha avuto due figlie: Luisa andata in sposa al grande pittore muralista Silvio Benedetto che ha lasciato grandi testimonianze d'arte in Sicilia e alle “5 Terre”; l'altra, Paola, è sposata con l'avvocato Bruno Cipitelli a Roma, dove vive.
Il fratello Maurino è nato nel 1917, ha partecipato al IIº conflitto mondiale in qualità di sergente carrista sul fronte tunisino, dove nel 1942 viene fatto prigioniero dagli Alleati e deportato negli U.S.A. in Arizona.
Dopo l’8 settembre aderisce come collaboratore degli Alleati, ottenendo, in tale circostanza, il trasferimento a S. Francisco dove trova occupazione come
magazziniere. A guerra finita viene rimpatriato e si sposa con Antognetti Anna Maria di Ortonovo, da cui ha un figlio, Stefano, abitante a Colombiera. Egli sposatori con Melania Franciosi di Ortonovo insegnante di materie letterarie, ha conseguito la laurea in Veterinaria presso l'Università di Torino ed oggi lavora presso il Ministero della salute in qualità di veterinario dirigente di Iº livello nel porto mercantile di La Spezia. Ha una figlia: la piccola Federica.
La Famiglia Marchini di Montefrancio (I “Manela”)
Questa famiglia autenticamente castelnovese è presente fin da epoca lontana in località Montefrancio.
Ricordiamo la storia delle sue ultime generazioni che risalgono ad un certo Isidoro Marchini nato verso la metà del secolo XIX (deceduto poi in cava nel 1918), e sposato con la sarzanese Domenica Tavilla: da essa aveva avuto 4 figli: Laurina nel 1889, Pietro nel 1899, deceduto nella Iº guerra mondiale; Umberto e infine Annunzio (Nunzio) nato nel 1910.
Umberto intraprende fin da giovanissimo il lavoro di falegname, specializzandosi poi nella fabbricazione delle casse da morto. Sposa Musso Corinna, castelnovese, dalla quale ha ben 7 figli dei quali 4 muoiono in tenerà età; dei sopravvissuti resta una viva memoria relativa a Severino soprannominato “Frò”, nato nel 1915, e ad Aldo, meglio conosciuto col nomignolo “Copino”.
Nella foto qui acclusa i due fratelli sono con la madre Erminia e la sorella Amelia. Il padre Umberto ad un certo momento fugge in Francia, per motivi economici ma in parte anche per cause politiche, dove a poco a poco si ricostruisce una vita, interrompendo praticamente ogni rapporto con la famiglia, la quale si trova ad affrontare momenti di grave indigenza.
Amelia, ancora in età scolare, contribuisce ai pochi introiti famigliari andando a servizio a Colombiera in casa dei Lombardi, gestori di varie attività commerciali. Severino, già provato da una triste infanzia per l'assenza di un modello paterno che ne orienti la personalità, manifesta un temperamento intollerante in qualsiasi disciplina, ma non è privo di una certa sensibilità nei confronti dei compaesani ed in particolare verso i coetanei che lo contraccambiano con calorosa simpatia e sincera cordialità.
Severino diviene a poco a poco simbolo di giovialità. Amante del buon vino esprime, attraverso momenti di intensa allegria, tutto il suo carattere di burlone che non risparmia facezie nei confronti di chiunque lo avvicini. Tendendosi ben lontano da qualsiasi impegno di lavoro, ricordava costantemente che “l'arte di Michelazzo è quella di mangiare, bere e andare a spasso!”. Non si contano le liti col padre falegname che un giorno, per infliggerli una severa punizione, lo rinchiude in una cassa da morto, provocandogli un grande ma inutile spavento. Muore in ospedale all'età di 60 anni, nel 1975.
Aldo (“Coppino”) nasce nel 1917. Lavora per un certo tempo presso le locali Fornaci Filippi, venendo poi arruolato a18 anni nel reparto artiglieria a Cavallo. Attendente di un ufficiale a Livorno (certo Lombardini) partecipa alla campagna d'Africa.
Al termine del conflitto riprende il lavoro presso le Fornaci Filippi; si sposa con la castelnovese Maria Salvetti che sarà la sua compagna di lavoro presso la locale fabbrica di laterizi, ma solo temporaneamente, a causa della sopravvenuta nascita del figlio Francesco (nel 1953) e poi di Fabrizio nel 1957.
Aldo lavora di buona lena per sopperire ai bisogni della famiglia che trova in lui un modello di onestà e di operosità.
Di costituzione piuttosto fragile, avvertirà molto presto i sintomi di una malattia allora molto diffusa: la silicosi. Morirà nel 1977 a 60 anni.
Una sua caratteristica, che è diffusamente ricordata dai suoi compaesani, lo fa annoverare tra i migliori cacciatori con reti e insuperabile pescatore “di canna”. Famosi i suoi trofei di anguille pescate nelle acque nel Canale Irrigatorio Lunense, le cui sponde erano il suo luogo preferito durante il tempo libero.
Il figlio Francesco lavora oggi presso l'Intermarine come tecnico disegnatore; il fratello Fabrizio ha un figlio ventitreenne che lavora con lui in una attività privata.
Annunzio (Nunzio), nato nel 1910, fin da ragazzo lavora nella falegnameria del fratello Umberto dislocata ad Avenza di Carrara. La distanza, coperta inizialmente a piedi, è eccessiva; e Annunzio riesce con i risparmi sulla modesta paga di operaio, ad acquistare la prima bicicletta: è una “Gerbi” di un bel colore rosso fiammante, colore che dà noia ai primi fascisti carrarini di quel tempo i quali, ritenendo quel colore un chiaro segnale di fede politica del giovane Nunzio, un giorno lo affrontano minacciandolo di gravi punizioni per quella imprudente esibizione … Così andavano le cose allora….!
In età più matura cambia completamente mestiere divenendo operaio, specializzato nel realizzare particolari intonaci esterni nelle abitazioni, specialmente nella realizzazione di quelli tipo “terranova”.
La sua opera, molto richiesta in un vasto territorio, si raffina attraverso le colonne, capitelli, lesene in finto travertino delle quali restano testimonianze anche locali, nelle chiese di Molicciara, di S. Lazzaro e di altre.
La sua abilità artigianale sconfina anche nella realizzazione di decori, arcate (vedi muro perimetrale del locale cimitero di Molicciara) ed altro, anche nella città di La Spezia e in Lunigiana. In questa produzione si rilevano le sue buone capacità e volontà già manifestate nella lontana esperienza scolastica: qualità che lo premieranno con l'assunzione come artigiano qualificato presso la ceramica Vaccari di Ponzano Magra.
Annunzio è stato anche uno dei dirigenti delle cooperative di consumo collegate con l'attività estrattiva delle Miniere di Luni negli anni '50. Nel 1986 è deceduto all'età di 76 anni.
Nel 1942 si era sposato con Adriana Garbini di Nave dalla quale sono nati 3 figli: Marco, oggi pensionato dal lavoro svolto dapprima presso la Ceramica Vaccari e poi presso l'O.T.O. Melara di La Spezia; Filippo attualmente abita a Marina di Carrara dove è titolare di una avviata attività commerciale; Salvatore, medico chirurgo, specialista in medicina interna e nefrologia, da tempo primario presso il reparto di medicina dell'Ospedale S. Bartolomeo di Sarzana.
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