Famiglia BIANCHI


BIANCHINI, BIANCO

BIANCHI, BIANCHINI, BIANCO: derivano dall'aggettivo germanico blank, “lucente” usato come nome o come soprannome derivante da una caratteristica fisica, i capelli, il colore della carnagione o da una caratteristica ambientale, case bianche, o da un toponimo, o dal nome di una zona, ecc. Tale cognome esaltava, soprattutto nel medioevo, la saggezza raggiunta con l'età avanzata; è riferito, inoltre, al valore del colore evocato dal cristianesimo che lo innalzò a simbolo di luce e di purezza. I Bianchi di Firenze risalgono almeno al 1000; nel 1200 sono inseriti fra le casate nobili consolari, cioè la classe di ricchi e potenti feudatari più aristocratica di Firenze. Il casato Bianchi di Milano dovrebbe provenire da Bologna, il capostipite sembra sia stato Ugolino Bianchi, che nel 1390 Gian Galeazzo Visconti nominò Maresciallo del Ducato di Milano. A Fosdinovo sono famosi gli antichi Bianchi di Erberia, lontani padroni dell'omonimo castello (1300). Il cognome Bianchi è presente in tutto il comune di Castelnuovo Magra, in modo particolare nelle frazioni di Vallecchia e Colombiera.
La prima comparsa di un Bianchi, a Castelnuovo Magra si riferisce a Giovincenzo di Gio Battista di Ortonovo battezzato l’11 febbraio 1704.

La famiglia Bianchi, nella discendenza di Vallecchia e Colombiera
Il capostipite, secondo le testimonianze degli ultimi discendenti, è un certo Agostino Bianchi nato nella prima metà del 1800, soldato nelle milizie Garibaldine e pensionato con la rendita di 1 lira al mese (!) delle guerre di Indipendenza. Da esso discende una numerosissima famiglia costituita da ben 9 figli, (di cui 5 maschi), che costituisce una forza lavoro molto richiesta a quel tempo (fra '800 e ‘900) da alcuni ricchi proprietari terrieri di Castelnuovo Magra. Ed è in questo territorio, e precisamente a Vallecchia, che Agostino Bianchi si trasferisce con tutti i suoi cari, richiamatovi dai signori Ferrari. Questi, già fin dal lontano 1700, possedevano in quel territorio vasti oliveti che, insieme ai boschi di cerri e di castagni, costituivano una valida fonte di sostentamento e di guadagno per i lavoratori della terra. I Bianchi vengono occupati come mezzadri da Michele e Filippo Ferrari succeduti nella proprietà paterna. Nel trascorrere degli anni alcuni figli di Agostino e loro discendenti restano stabilmente a Vallecchia, altri si trasferiscono al piano, nelle frazioni di Colombiera e di Molicciara. Fra costoro ricordiamo quelli che sono legati in maniera più significativa alla storia locale. I figli di Agostino Bianchi, Michele e Cesare, scenderanno a Colombiera dando inizio alla locale comunità dei Bianchi (Cesare morirà a Montefrancio, colpito da bombe durante l'avanzamento del fronte nell'ultima guerra). Carlo Bianchi, altro fratello, si sposa a Vallecchia: suo figlio Amedeo sposa a sua volta Ambrosini Annunziata: sarà quest'ultima a dare l'avvio all'attività commerciale che si identifica oggi nel più remoto ristorante di quella frazione. Infatti Annunziata, rimasta vedova di Amedeo deceduto al fronte nella guerra '15 -'18, ottiene dallo Stato la concessione per la vendita di generi di monopolio; apre un tabacchino che (primo e unico a Vallecchia) per iniziativa della figlia Livia, inizia la vendita e la mescita di vino, poi di panini ed infine di altri generi alimentari, per assumere in seguito la dimensione di vero e proprio negozio: il primo in quel paese. Poi diventa ristorante tuttora assai apprezzato grazie alla gestione degli ultimi discendenti dei Bianchi. Un figlio di Agostino, Giuseppe, ha un destino molto infelice: infatti muore ancor giovane nel 1919 a seguito dell'epidemia di “Spagnola”. Un altro figlio di Agostino, Luigi, nato nel 1876, si sposa con Sergiampietri Carolina, zia di Rizieri proprietario dell'omonimo ristorante di Marciano. Dal matrimonio nascono tre figli: Maria, che si unisce con un Balleri, Pietro e Fiorino i quali restano nel natio borgo, mezzadri di Michele Ferrari. Il figlio di Fiorino, Luigi, nato nel 1931, abbandona quella frazione trasferendosi a Molicciara. Dal 1954 al 1967 lavora alle dipendenze della ditta Bigagli di Sarzana della cui enorme fortuna commerciale è diretto testimone. Infatti nel 1954 era l'unico (!) e il primo dipendente di quella allora modestissima azienda la quale commerciava in ferro vecchio e stracci. Nel 1968 Luigi acquista un camion lavorando come autotrasportatore in proprio fino al 1970, quando prende in appalto il trasporto di bombole di G.P.L. della Liquigas. Poi lavora con la Kerocosmo (1979). Dopo la cessione delle quote azionarie della Kerocosmo all'A.G.I.P. Luigi resta ancora in attività presso quest'ultima Società, lasciando una preziosa eredità di esperienza al figlio Alberto che nell'A.G.I.P. lavora tuttora come autotrasportatore.
La famiglia Bianchi prof. Giacomo di Castelnuovo
Spesso certi avvenimenti di pura cronaca hanno il potere di correggere la storia di una famiglia, segnandone uno sviluppo assolutamente imprevedibile, come avvenuto per la famiglia Bianchi di Castelnuovo Magra. Questo casato non ha origini locali, ma lombarde e, secondo quanto ricordato dagli ultimi discendenti, bergamasche. Infatti nella seconda metà dell'800 incontriamo a Clausone (Bergamo) un certo Francesco Bianchi professore di clarino. A seguito della vincita di un concorso di clarinettista presso la scala di Milano, egli si trasferisce nella metropoli lombarda con tutta la famiglia. Ha un figlio, Modesto, che segue la carriera di magistrato e che viene in Toscana a Gallicano, per dirigervi la pretura. Il giovane magistrato viene chiamato, per svolgere indagini su un fatto di sangue, a Fosdinovo, paese che a quel tempo faceva parte della giurisdizione Fivizzanese e quindi di Gallicano. Porta con sé la moglie ed i figli dei quali Francesco (omonimo del nonno) essendo laureato in medicina e chirurgia, viene invitato a dirigere la locale “condotta”. Così avviene e da questo momento inizia la storia della famiglia Bianchi delle nostre contrade. Infatti Francesco si sposa con Margherita Corona, sorella del parroco di Fosdinovo Don Giuseppe, e appartenente ad una famiglia patrizia romana qui trasferitasi già nel lontano 1500. Il parroco avrà molta importanza nel prosieguo della storia dei Bianchi; infatti, essendo un grande lettore e studioso di letteratura, arrichisce la propria biblioteca con testi anche rari ed antichi, che costituiranno una preziosa fonte del sapere per il nipote Franco di Castelnuovo Magra (di cui poi parleremo diffusamente) il quale sarà ospite in quella canonica durante la Resistenza negli anni 1943 -'44. E' interessante ricordare che il pensiero politico di questo parroco manifestato anche attraverso alcune pubblicazioni precorre quel modernismo che caratterizzerà il secolo XX, ma che lo mette in cattiva luce agli occhi del mondo cattolico, allora dominato dalla cultura tradizionalista sostenuta dal Papa Pio X. Ciò gli costa la rinuncia alla porpora vescovile, carica che a pieno titolo avrebbe ben meritato e che infatti gli sarà conferita “post mortem”. Don Giuseppe, di spirito franco e deciso, si mette in urto anche con i canonici di Sarzana che lo osteggiano vigorosamente nel suo tentativo di trasferire la sede vescovile da Sarzana a La Spezia. Vogliamo pure ricordare, in relazione agli importanti avvenimenti che si svolgono in Italia durante la Guerra di Indipendenza, alcuni protagonisti che hanno attinenza con Modesto Bianchi. Infatti egli è cognato del famoso Generale Giuseppe Dezza, luogotenente di Garibaldi assieme a Nino Bixio, di cui è fraterno amico, e alla cui memoria è intitolato il cacciatorpediniere Dezza affondato dopo l’8 settembre 1943. Il nome “Dezza” sarà poi assunto come nome di battaglia da Franco Bianchi di Castelnuovo Magra durante la Resistenza partigiana. Tornando a Modesto Bianchi pretore, dobbiamo ricordare che oltre a Francesco ha avuto altri due figli dei quali desideriamo dare un cenno: Carlotta, la quale svolge per lunghi anni l'attività di insegnante elementare; Baldassare, ufficiale di Stato Maggiore, colonnello nella prima guerra mondiale. Gli viene affidato per meriti, il comando di una brigata; ferito nella battaglia del Piave nel 1918 viene decorato con l'Ordine Militare dei Savoia; muore col grado di generale di aviazione nel 1922. Francesco, uno dei figli di Modesto (già conosciuto come marito di Margherita Corona) ha 5 figli. Fra questi, allo scopo di seguire in via diretta l'albero genealogico che ci porta a Franco (il personaggio che ci ha fornito notizie sulla “storia” dei propri ascendenti), vogliamo ricordare in particolare Giacomo, padre di Franco. Giacomo Bianchi nasce a Fosdinovo nel 1897. In età giovanissima consegue la laurea in medicina e chirurgia presso l'Università di Pisa. Nel 1928 si sposa con Berta Tina Bacigalupi di Castelnuovo Magra dalla quale, nel giro di pochi anni, avrà 7 figli. Prima di parlare della sua famiglia e della sua carriera professionale diamo un cenno ai suoi numerosi spostamenti domiciliari, legati in parte alla natura della sua professione ed in parte agli eventi bellici della seconda guerra mondiale. Infatti dapprima è a Lucca, fino al 1942, spostandosi nello stesso anno a La Spezia da dove è obbligato ad allontanarsi a seguito dei bombardamenti aerei, riparando in provincia e precisamente a Castelnuovo nella casa della moglie. Qui rimarrà fino al termine del conflitto, spostandosi periodicamente in bicicletta nel lontano capoluogo ligure per esercitarvi la professione medica. Dal 1945 al 1951 prende dimora a Sarzana, per poi tornare ancora a La Spezia. Ebbene: dopo il conseguimento della laurea presta la sua opera come assistente presso l'ospedale di Massa. Nel contempo frequenta l'Istituto di Patologia Chirurgica dell'università di Pisa (diretto dal prof. Guido Ferrarini in qualità di assistente), e la scuola di medicina del lavoro diretta dallo stesso cattedratico. Qui il giovane Bianchi avvia una notevole attività scientifica, producendo una ragguardevole mole di pubblicazioni inerenti la medicina del lavoro. Tale attività, favorita peraltro dalla sua presenza presso l'ospedale di Massa che lo mette in contatto con gli operai del marmo, gli consente di dirimere una grossa questione sorta tra il prof. Ferrarini e l'Istituto I.N.A.I.L. che contesta al luminare la tesi di riconoscere la silicosi come malattia professionale ascrivibile alla lavorazione del marmo, essendo questa pietra costituita da carbonato di calcio e non da silice. Ma il dottor Bianchi riesce a dimostrare che tale patologia è da imputare, se pur indirettamente, al marmo perché derivante dalla inalazione di polvere di silice sollevata dall'abbondante sabbia adoperata col filo elicoidale o con altri strumenti per segare quella pietra. Volendo completare se pur per sommi capi le notizie sulla carriera professionale di Giacomo Bianchi, dobbiamo ricordare che essa appare punteggiata da molti successi oltre a quelli già segnalati. Infatti egli consegue la libera docenza in medicina del lavoro, specializzandosi in radiologia e tisiologia; assume l'incarico di direttore del preventorio di Ariano, del sanatorio di Carignano e del dispensario di Lucca. In quella casa di cura diventa testimone ufficiale di una guarigione ritenuta miracolosa nel 1938; viene chiamato in Vaticano al processo di canonizzazione del Santo intercessore e invitato alla cerimonia ufficiale dopo la guerra. Giacomo Bianchi era già stato combattente nel primo conflitto mondiale, ma partecipa anche al secondo come ufficiale medico, imbarcato sul sommergibile Ambra, allora comandato dal capitano di corvetta Mario Arillo, medaglia d'oro e futuro ammiraglio. Dopo l’8 settembre del '43, pur non aderendo alla R.S.I., mantiene fraterni rapporti (come fra patrioti e gentiluomini) col suo vecchio comandante, in ricordo e in rispetto del quale, durante la Resistenza, riesce a salvare alcuni partigiani catturati dalla “X MAS”. Congedato dalla regia Marina nel giugno del 1945, viene invitato a passare al servizio effettivo col grado di tenente colonnello per meriti conseguiti; ma rinuncia a favore della professione che svolgerà soprattutto a Castelnuovo Magra, a Sarzana e a La Spezia. Negli anni '60 dirige come primario il centro medico-legale dell'Opera Nazionale Invalidi di guerra dell'ospedale “Felettino” di La Spezia. Si spegnerà nel 1974 lasciando una grande eredità morale e professionale. Desideriamo ora tratteggiare le figure dei discendenti diretti di questo casato, e più precisamente dei figli di Giacomo Bianchi, nati dal matrimonio con la già ricordata Berta Tina Bacigalupi di Castelnuovo Magra. Franco, primogenito, nasce nel 1929. Dopo la maturità classica conseguita a Sarzana nel 1946 si iscrive alla facoltà di Medicina dell'Università di Pisa conseguendovi la laurea nell'anno 1952. Ancora giovanissimo entra nelle file partigiane col nome di battaglia “Dezza” già ricordato all'inizio, in qualità di dirigente per il servizio sanitario della 52^ brigata Garibaldi d'assalto “Ugo Muccini”. Dopo il regolare servizio militare in cui lo vediamo ufficiale medico in aeronautica, ricopre il ruolo di assistente universitario fino al 1971. E' primario chirurgo all'Isola d'Elba e a Crotone, e si specializza poi in ostetricia e chirurgia generale, realizzando dopo una brillante esperienza ben 10.000 interventi e portando a termine 90 pubblicazioni scientifiche. Attualmente vive a Firenze frequentando Pisa dove insegna (gratuitamente) medicina operatoria agli specializzandi in chirurgia, presso l'Istituto di chirurgia generale dei trapianti diretto dal prof. Mosca. E' sposato con Anna Maria Fascioli dalla quale ha avuto 3 figli: Francesca che, laureata in scienze politiche, lavora presso l'Istituto di sociologia di Firenze. Giacomo, già apprezzato ufficiale di marina, oggi svolge la professione di tour operator a Firenze. Benedetta, laureata con lode a medicina e chirurgia e specializzata in otorinolaringoiatria, vive e lavora a Firenze. Onde completare il quadro di questa famiglia ricordiamo infine gli altri figli di Giacomo Bianchi: Magda, ha sposato Piero Fontani (laureato in fisica e matematica) col quale vive a Castelnuovo Magra nella casa della madre. Giuseppe (Bepi), ammiraglio di divisione in pensione; vive a Livorno. Mario, ex funzionario liquidatore della compagnia R.A.S., attualmente vive a La Spezia. Piero, geometra e rappresentante di articoli industriali su scala nazionale; vive a Roma. Vittorio, capitano di lungo corso, ha attraversato tutti i mari; da 20 anni è comandante di rimorchiatori a La Spezia. Margherita, è impiegata presso il patronato C.G.I.L. a Roma, dove vive.
La famiglia Bianchi (dei “Zanarin”)
Il nomignolo deriva probabilmente dal soprannome “Zanardo” attribuito a Leonardo Bianchi fu Francesco, nato nel 1836, abitante in una frazione castelnovese chiamata “da Zan”, poi modificatosi nel nuovo termine “Zanarin”. Leonardo era un ricco proprietario locale che aveva sposato una certa Musetti Carolina dalla quale erano nati 3 figli: Natale, Anna Emilia e una terza figlia di cui si sono perse le tracce. Natale sarà molto più prolifico del padre, avendo avuto dalla consorte Balleri Domenica ben 9 eredi dei quali 4 maschi che allargheranno sensibilmente, con i rispettivi matrimoni, la stirpe dei Bianchi di Castelnuovo Magra. Saranno soprattutto Italo e Eugenio i capostipiti di nuovi rami paralleli, e di cui parleremo in questo capitolo, essendo deceduto in tenera età un altro fratello di nome Lindo, mentre rimane senza eredi maschi il quarto fratello Angelo, terzogenito dopo due sorelle. Italo nasce nel 1897, per molti anni esercita l'attività di casellante delle ferrovie statali, con funzioni di controllo della strada ferrata nel tratto Carrara Avenza-Sarzana. Coniugato con Barbieri Anita si spegne all'età di 88 anni, lasciando eredi Valto (che non avrà figli maschi ma solo una femmina, Marina) e Rodolfo (1940), insegnante I.T.P. presso le scuole tecniche di Carrara, pure lui padre di una sola figlia, Cristina. Eugenio (dai più chiamato col diminuitivo di “Uzè”, ma ancor più noto col soprannome “Zanarin”, tipico della sua stirpe), è quello a cui più di ogni altro consanguineo è legato il proseguimento di questo cognome: col figlio Sauro, il nipote Pier Giorgio e infine col pronipote Gabriel (come vedremo). Eugenio nasce nel 1910; in età ancora giovanile lavora alle dipendenze del comune di Castelnuovo nella realizzazione del Iiº acquedotto. Ricordiamo che le primitive fonti di approvvigionamento dell'acqua potabile sono: quella di “Rabò”, seguita da quella del “Toffo” dove negli anni 1935-38 aveva lavorato Eugenio, poi quella di “Santoro” nei pressi di Vallecchia; molto più recente è quella di “Bolignolo” realizzata attraverso la escavazione di pozzi. Venendo riconosciuto “rividibile” alla visita militare di leva, viene coinvolto in una serie di trasferimenti presso gli ospedali militari di Livorno, Firenze e Pisa, per accertamenti sanitari. Finalmente ottiene un avvicinamento a casa, essendo stato destinato al “XXI fanteria” di Sarzana. Nel 1942, durante il periodo del “razionamento” alimentare disposto dalle leggi dell'”annonaria”, viene assunto in servizio civile per il trasporto di generi alimentari da Sarzana a Castelnuovo Magra, ottenendo dall'allora Podestà Tosini un particolare lasciapassare da esibire alle forze militari. Agli ultimi tempi della passata guerra è da ricondurre un episodio drammatico che avrebbe potuto provocare conseguenze tragiche ai danni di Eugenio e che merita ricordare. Siamo all'inizio dell'epoca partigiana quando un mattino presto, Eugenio, percorrendo una mulattiera della collina castelnovese per recarsi ad un controllo dell'acquedotto su un tratto a lui affidato, scorge il cadavere di un tedesco probabilmente ucciso in un'imboscata. Immediatamente si precipita a casa del Podestà per avvisarlo della tragica scoperta. Il funzionario, preso atto della denuncia, invita il Bianchi a proseguire il suo lavoro di ispezione, tranquillizzandolo sull'esito dell'accaduto. Ma il bravo Eugenio incontra di lì a poco una pattuglia di Tedeschi che, già a conoscenza del presunto omicidio e ritenendolo ascrivibile al nostro malcapitato fontaniere, deferiscono quest'ultimo al comando militare … Sarà il Podestà Tosini a scagionarlo da ogni responsabilità, chiedendo aiuto, per farsi meglio capire, al giovane Andrea Giacomelli di Molino del Piano (il futuro noto professore di lettere) buon conoscitore della lingua tedesca. Eugenio continuerà negli anni avvenire il servizio di fontaniere, prodigandosi con puntualità e precisione non solo nei compiti tecnici ma, all'inizio, in quelli amministrativi di lettura dei contatori e di riscossione dei tributi. Per i suoi indiscussi meriti riceverà testimonianze di riconoscenza da parte della popolazione castelnovese, anche attraverso articoli sui giornali locali, ed una significativa onorificenza da parte dell'Amministrazione Comunale. Il figlio Sauro, nato nel 1938 dal matrimonio di Eugenio con Ferrarini Eleonora, ha saputo meritare il patrimonio di umanità e professionalità lasciatogli dal padre (venuto a mancare nel 1995), svolgendo le stesse funzioni di fontaniere dal 1970 al 1975. Negli anni successivi dal '76 al '96 è passato alle dipendenze dell’Azienda A.C.A.M. svolgendo dapprima compiti di operaio, per condurre poi quelli di tecnico, dopo aver conseguito, con risultati brillanti, il diploma di geometra: titolo di studio conseguito con apprezzabile sacrificio, ma anche grazie all'incitamento della moglie Vanelli Vanna sposata nel 1965. Sauro ha 3 figli: Cristina ragioniera commercialista presso la C.N.A. di Carrara Avenza; Pier Giorgio, titolare di una importante azienda per la installazione e vendita di condizionatori; Davide, rappresentante. Il figlio Pier Giorgio gli ha fatto il dono di un nipotino, Gabriel nato nel 2003, che costituisce l'augurabile promessa di una ancor più lunga discendenza dei Bianchi “Zanarìn”. Desideriamo a questo punto ricordare le altre figlie di Eugenio Bianchi: Sandra (casalinga) e Silvana la quale svolge da molti anni la professione di insegnante elementare nella scuola di Palvotrisia. La famiglia Bianchi di Molicciara (dei “Scipionetti”) I “Scipionetti” costituiscono un ramo dei Bianchi di stanza a Ortonovo fin dall'inizio del XX secolo nella zona pedecollinare di Casano chiamata “Biotanello”. Tale toponimo forse deriva dall'uso di “biuta” cioè sterco di mucca diluito in acqua, sparsa sull'uva in via di maturazione per prevenirne furti da parte di viandanti. I “Scipionetti” godevano di un certo benessere (commisurato con quei tempi di diffusa povertà), grazie agli appezzamenti di terreno di cui erano in possesso e che mettevano a costante frutto con l'assiduo lavoro. La richiesta di manodopera per le svariate mansioni agricole viene soddisfatta da una discreta prolificità di questa famiglia in cui Pietro, nato verso il 1850, è uno dei tanti fratelli. Tuttavia costoro a poco a poco differenziano le proprie occupazioni, chi come calzolaio, chi come commerciante ecc. Pietro addirittura si differenzia nettamente dai propri congiunti scegliendo la via del mare che lo porterà in giro per il mondo su vari bastimenti mercantili. Trova comunque il tempo di sposarsi con Mannucci Assunta appartenente ad una antica e prestigiosa famiglia di Castelnuovo, nel quale paese i due coniugi vengono a trasferirsi definitivamente in via Roma, verso la seconda metà del 1800. Pietro ha 4 figli dai nomi piuttosto raffinati che evidenziano un certo gusto dei genitori stessi: Primavera, Alfredo, Gustavo e Maria Celeste. Alfredo si dedica all'attività di sarto, aprendo bottega a Sarzana in via Mazzini in un edificio oggi non più esistente, accanto alla Cattedrale. Possiede una buona capacità sartoriale ed un carattere molto socievole: qualità che lo introducono negli ambienti borghesi della città dove diventa persino amico di vari personaggi come Zappa, l'avvocato Dujardin, Luciani (il primo sindaco dopo la liberazione) e altri ancora che ne conserveranno un caro ricordo per lunghi anni avvenire. Alfredo nutre ideali politici di stampo nettamente socialista e, al primo sorgere dei movimenti ispirati a questo ideale, ne diventa un deciso collaboratore, vendendo copie dell'”Avanti!” Ma quando tale movimento si orienta verso destra, alimentando il sorgente partito fascista, si dichiara apertamente contrario a tale trasformazione. Alfredo muore nel 1932, lasciando due figlie. L'altro fratello Gustavo, nato nel 1882, intraprende molto presto l'attività lavorativa facendo il muratore. Si sposa molto giovane con Assunta di Colombiera da cui ha 4 figli: Odino nel 1905, Luce, Nella e Osvaldo. Di questi resta in vita soltanto Odino dopo la prematura morte degli altri fratelli avvenuta per t.b.c. Tale malattia (oggi finalmente debellata) aveva a quel tempo carattere quasi epidemico a causa di vari fattori quali la scadente alimentazione e la scarsa igiene. Nella famiglia di Gustavo Bianchi questa situazione era aggravata da altre circostanze di quel momento storico. Infatti né Gustavo, né i figli, saldamente legati a ideali socialisti, potevano usufruire dei benefici che sarebbero loro derivati se avessero aderito al fascismo, subendo, da quel partito allora imperante, minacce, spesso tradotte in violenze fisiche. Gustavo resta presto vedovo a causa della letale epidemia di “spagnola” che nel 1918 colpisce inesorabilmente la moglie Assunta. Si sposa in seconde nozze con Carlini Marina (i Carlini dei “Rabò”) che gli dà due figli: Wanda nel 1926 e Vladimiro (1930), nome scelto in ricordo di Lenin. Durante la Iiº guerra mondiale la famiglia vive a Castelnuovo paese in via dei Bianchi, in una casa che per la sua ubicazione dietro le “mura” offrirà l'occasione in epoca partigiana di nascondere le armi da usare per eventuali azioni contro i Tedeschi. Nel periodo bellico antecedente la liberazione, la famiglia è continuamente oggetto di soprusi e violenze da parte dei fascisti che sovente arrivano a pesanti maltrattamenti fisici ai danni di papà Gustavo, perfino a due mesi prima della caduta del fascismo (25 luglio '43). Nonostante ciò, i grandi ideali di libertà a cui Gustavo si ispira, non vengono mai meno, inculcandosi peraltro nelle menti dei figli Vladimiro e Wanda che dopo l'8 settembre porteranno avanti tali ideali partecipando attivamente al movimento partigiano. Soprattutto Wanda si adopererà con continuo rischio della propria vita in azioni di particolare pericolo, come quello di staffetta fra i vari comandi partigiani disseminati nelle retrostanti colline castelnovesi, quasi a stretto contatto con le guarnigioni tedesche. Le operazioni condotte da Wanda Bianchi si rivelano particolarmente rischiose specie dopo il rastrellamento del 29 Novembre del 1944 quando essa prosegue nella sua attività di staffetta portando ordini e armi fra i vari comandi partigiani (come quello di Walter Bertone a Giucano), rimasti in zona dopo il passaggio del fronte di altri reparti. A guerra finita Wanda partecipa al C.L.N. nell'ufficio di segreteria, con compiti assai delicati che le consentono insieme col partigiano Bontempo Francesco, di svolgere molte iniziative di natura filantropica, evitando qualsiasi azione che avesse il sapore di vendetta verso gli avversari politici, adoperandosi per contro nel sanare, in nome di una rinata pace e ritrovata fratellanza, rancori lontani o recenti. E ciò le va a grande merito, se si pensa che a quel tempo aveva l'età di soli 19 anni, pochi in realtà, ma sufficienti per rivelare una piena maturità ed un perfetto equilibrio.

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