Famiglia BERTELLA
BERTELLA: Può derivare dal nome latino Libertus (tipico di schiavo messo in libertà) come pure dal nome medioevale Bertus a sua volta proveniente dal vocabolo longobardo bertha (Splendente, illustre, famoso) o dal celtico bert (portatore).
Splendore e celebrità sono evocati da questo cognome che appare dunque, per chi lo porta, di promettente augurio.
La prima iscrizione anagrafica dei Bertella, a Castelnuovo Magra è relativa a Bartolomeo di Giovanni Girolamo di Bartolomeo battezzato il 17 settembre 1564.
Nelle filze parrocchiali di Castelnuovo, al n. 43 si legge
- 1675.3.08 Fondazione dell'oratorio di S. Rosa in Marciano.
a) 1675.31.08 Atto del Notaio Ambrogio Fazzi in favore dell'oratorio di Marciano.
b) 1665, 17 I padroni della villa di Marciano, certi Bertella, scrivono al vescovo che “scassando un loro terreno rinvennero certe muraglie antiche a guisa di chiesetta dentro le quali si sono trovate molte lastre et ossa di morti onde detti Bertella desiderosi del culto divino vorrebbero in detto sito e sopra dette mura edificare un oratorio”. Scarse sono le testimonianze degli ultimi discendenti di questa famiglia per quanto ne riguarda le origini; tuttavia merita tracciarne la storia per la serie di avvenimenti molto interessanti che ne hanno coinvolto uno dei membri, e cioè Gino Bertella. Egli, vissuto a Colombiera fino al 1982, data del suo decesso, ha fornito la spinta imprenditoriale ai figli, oggi titolari di una delle più importanti (forse la nº 1) fra le aziende che gravitano nel comprensorio castelnovese.
Il ramo di Gino deriva da un Bertella Augusto (popolarmente conosciuto col nome di “Agú”) proveniente da Arcola dove è vissuto, in quel territorio d'oltre Magra, fino alla seconda metà del 1800, dedicandosi con i genitori ed i fratelli ai lavori agricoli in qualità di mezzadro di famiglie locali. Il padre, di nome Andrea, era occupato come capo operaio presso le miniere di lignite di Colombiera. Uomo dotato di grande spirito collaborativo con i colleghi di lavoro, assumeva un contegno deferente rispetto ai superiori, tanto che perfino davanti al telegrafo si toglieva il cappello, facendo accompagnare il gesto con un inchino, ogni volta che doveva rispondere ad un comando. Il posto occupato dal padre in miniera fornisce al figlio Augusto l'occasione per incontrarsi con Garbusi Enrichetta di Luni con la quale si sposa, trasferendosi nella frazione di Montecchio. Qui prosegue l'occupazione famigliare di mezzadro alle dipendenze dei Tonarelli, e di parte dei beni della chiesa. Animato da spirito imprenditoriale, ma soprattutto desideroso di accrescere i cespiti della propria famiglia, nel frattempo aumentata di numero con i tre figli Gino, Andreina e Olghetta, acquista un biroccio ed un asino. Con questi mezzi attiva una serie di commerci nella vallata del Magra, in occasione delle numerose e assai frequentate fiere di paese. A poco a poco si indirizza verso il commercio della legna da ardere, e nel contempo si apre ad una nuova esperienza: quella della fabbricazione dei pozzi (col solo aiuto di pala e piccone). Queste due attività caratterizzeranno la famiglia Bertella che, specie con la seconda, debitamente modernizzata col passare degli anni, allargherà progressivamente i propri interessi imprenditoriali. All'età di 16 anni il figlio Gino, nato nel 1912, sente molto stretto il freno della famiglia e (siamo sul finire degli anni '20) parte volontario in Africa nel corpo “Cacciatori d'Africa”. Là commette una piccola infrazione, viene punito e si scopre che non ha raggiunto la maggiore età; si aprono allora le pratiche per il rimpatrio ma, per la mancanza del mezzo che lo riporti in Italia, è costretto a restare esule in terra d'Africa. Entra allora come civile a far parte della ditta spezzina “De Luigi” che lo assume come autista per il trasporto delle merci. Allo scoppio della guerra viene fatto prigioniero dagli Inglesi; di lui non se ne ha più notizia, tanto che viene dato per disperso dal governo italiano. Rifiutando di entrare nel ruolo di “collaboratore” viene internato in un campo di concentramento in Rhodesia dove conosce molti compatrioti con i quali organizza una rocambolesca fuga. Infatti con le balestre di un camion fabbrica una specie di cesoia con la quale nottetempo, dopo aver calzato un paio di zoccoli di legno precedentemente da lui costruiti, taglia il filo spinato elettrico di recinzione guadagnando la libertà. Con l'aiuto di una carta geografica del luogo, vaga per 200 chilometri in terra d'Africa; ma viene scoperto e nuovamente internato. La sua sete di libertà non si assopisce e la fertile mente gli fornisce l'estro per poter evadere ancora, questa volta sotto falso nome. Infatti si appropria della carta di identità di un suo compagno precedentemente morto, un certo Cigallotti Amedeo di Pistoia, e riesce ancora a fuggire dopo infinite peripezie. Viene ancora catturato, sotto questo falso nome che insospettisce il comando inglese, risultando questo Cigallotti di ben 17 anni più vecchio, essendo nato nel 1895! Ma, con aria imperturbabile di fronte a qualsiasi interrogatorio che tenta di incastrarlo, egli afferma in ogni circostanza, anche la meno prevedibile, la propria identità nel nuovo personaggio preso in prestito… E con tale falso nome verrà rimpatriato a fine guerra, esattamente nel 1947. In Italia però era stato dato per deceduto, tanto che la madre Enrichetta aveva fatto dire alcune messe, alla sua memoria. Sbarcato a Napoli, sale sul primo treno con i pochi soldi lasciatigli dal Comando inglese per sopperire alle necessità del viaggio; arrivato a Sarzana prende un taxi e nel pomeriggio della Befana del '47 compare……. vero fantasma del defunto Gino, a casa propria! Quale miglior strenna natalizia !? … Siamo dunque sul finire degli anni '40 e Gino, perennemente animato da spirito innovativo che in passato aveva raggiunto quello dell'avventura, consiglia il padre Augusto di vendere l'asino e il biroccino, ritenuti ormai superati per poter sostenere attività commerciali più redditizie, e di acquistare un mezzo motorizzato. La proposta va a buon fine e col ricavato da tale vendita (lire 99.000) viene acquistato presso l'esercito americano a Tombolo un camion Dodge: 97.000 lire per il mezzo e 2.000 lire per una tanica di carburante. Pur proseguendo nel commercio della legna da ardere e nella escavazione di pozzi, l'attività ora si allarga verso il commercio di materiale sabbioso e di laterizi, in un momento fortunato, data la grande richiesta di materiale edilizio per la ricostruzione e la scarsa concorrenza rappresentata da Poletti Cisi (il “Montagnaro”) e da Tendola Luigi (“Tomelon”), fra i pochi in possesso di automezzi adeguati. Ma Gino Bertella vuole misurarsi con nuove esperienze: vende il vecchio Dodge alla locale fabbrica di laterizi “Filippi” e col ricavato acquista, sempre sul mercato di Tombolo, un gippone americano alimentato a metano e dotato di un potente verricello. Questo strumento si rivelerà di massima utilità per lo spostamento di grossi carichi. Finalmente i detriti di scavo per i pozzi e i tronchi di legna da ardere saranno sollevati non più a forza di braccia! Il commercio di combustibili domestici vede ora, accanto ai tradizionali prodotti del bosco, anche gli ovuli e le mattonelle di antracite provenienti dalla Germania e che rendono ancor più vasto e consistente il mercato di Gino; egli tuttavia potenzia l'altra attività di scavo dei pozzi, fortemente richiesta da una popolazione in crescente aumento e non adeguatamente servita dagli acquedotti pubblici. E così nel 1970 la ditta Bertella & figli acquista alla fiera di Milano la prima trivellatrice del costo di svariati milioni, con acconto di 2 milioni prestati con nessun interesse (!) da un ex compagno di prigionia in Africa, un certo Volpi Giuseppe di Milano. (Il ricordo è d'obbligo, nel rispetto della memoria del nostro beneficiario). Gino Bertella si era sposato con Lida Fracassi nel 1948, appena tornato dai sette anni di prigionia in Africa e che oggi lo ricorda con infinita riconoscenza ed affetto. Ha avuto tre figli: Ornella, Arnaldo e Bruno i quali ultimi proseguono da tempo le esperienze paterne. Ma prima di parlare di questi ultimi eredi, vogliamo ricordare che Gino Bertella è stato una figura generosissima, non solo con la propria famiglia, ma in pari modo anche con la gente del proprio paese. E pur appartenendo in modo manifesto ad un'area politica che negli anni del dopo guerra poteva apparire per lo meno “assurda” agli occhi della politica in corso, è stato sempre rispettato da qualsiasi avversario ideologico che gli ha riconosciuto l'onestà, la coerenza, la laboriosità e la dignità. Una nota va ora spesa per la “Impresa Bertella Bruno” gestita dai fratelli Bruno e Arnaldo. La ditta specializzata in opere di consolidamento dei terreni, in particolare nella esecuzione di pali trivellati, micropali, tiranti, dreni e palancolati, ha ottenuto nel 1989 l'iscrizione all'albo nazionale costruttori per la categoria delle fondazioni speciali. Il mercato di riferimento dell'Impresa Bertella è presente in molte regioni italiane: Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Piemonte ed è costituito attualmente da enti pubblici per il 60% del fatturato, da privati per il 10% e da altre imprese per il restante 30%. Il fatturato salito da 371.00 Euro nel 1996 ai 3.272.000 Euro nel 2002, consente all'azienda, forte di 27 dipendenti fra operai e impiegati, di divenire leader nel proprio settore in ambito locale e una delle realtà più importanti a livello regionale. Ci piace chiudere questa scheda con una considerazione di sapore sociale e morale: i titolari Arnaldo e Bruno hanno allargato enormemente l'attività tracciata dal nonno Augusto conservando l'umiltà morale dettata soprattutto dal padre Gino. Arnaldo si è sposato con Balleri Loredana nel 1976 ed ha due figlie, Laura e Lucia. Bruno, sposatosi con Lupetti Rita ha due figli: Mattia, studente di giornalismo presso la facoltà di Scienze politiche a Firenze; Andrea, geometra. Egli lavora nell'impresa famigliare della quale, ci si augura, sarà degno prosecutore.
La famiglia Bertella (dei “Ruzé”)
Capostipite di questo ramo dei Bertella di Colombiera che trasmette il soprannome “Ruzé” ai discendenti, è Attilio Bertella, nato a Castelnuovo Magra sul finire del 1800 e figlio, con gli altri fratelli Augusto, Giovanna e Lisa, di Andrea Bertella proveniente da Arcola. Il soprannome “Ruzé”, che col tempo diviene predominante sul vero nome, gli deriva forse dal suo carattere estremamente socievole, estroverso e giocoso che ne caratterizza il comportamento di contadino, portandolo a “ruzzare”, nel senso di “giocare” con le varie circostanze della vita. Infatti non vi è festa paesana o importante ricorrenza a cui non sia presente come protagonista e organizzatore; non si sente canto popolare per le vie del paese in cui Attilio non sia fra le prime voci del coro. Attento ad ogni avvenimento che lo circonda nella frazione di Colombiera in cui abita, è sempre prodigo di attenzioni verso chi richiede la sua collaborazione: durante le feste dell'Epifania va a cantare travestito nei panni della vecchina; fa cortese visita alle puerpere (assai numerose in quel tempo) portando in omaggio semplici ma utili prodotti della terra, come un fascio di legna per il riscaldamento al camino, oppure un mazzo di cavoli per il minestrone, o altri doni. Amico sia dei bambini che degli adulti, viene richiesto in ogni dove per la sua giovialità e per l'allegria che sa infondere intorno a sé. La sua presenza si rivela preziosa nei casi di lavori impegnativi; infatti non solo collabora con il fratello Augusto nell'opera di scavo dei pozzi per l'acqua potabile o irrigua, ma di buon grado aiuta amici e conoscenti nella vendemmia, nella potatura e nella annuale ricorrenza della “scartozzera” dove assume sempre il ruolo di “prima donna” grazie alle sue esilaranti facezie. Il suo impegno lavorativo si manifesta anche in attività assai pesanti quali lo scasso dei terreni per la piantagione delle viti, compiuto in genere di notte alla luce di lanterne, venendo occupato, di giorno, in lavori agricoli più urgenti. Nelle fredde notti dell'autunno-inverno spesso lo vediamo intento nella frangitura delle olive presso il frantoio Ferrari di Castelnuovo paese. Padrone di una coppia di buoi collabora con i vari contadini del luogo prestando loro tali animali per le pesanti operazioni di aratura e semina, oltre che la propria opera personale. Tutta questa disponibilità gli deriva anche dalla robustezza fisica messa in evidenza dalle sue muscolose braccia. Attilio si sposa con Nardi Rosalinda di Colombiera dalla quale ha tre figli: Tino, Andrea e Rita. A proposito dei buoi di sua proprietà si racconta che durante la guerra ne subisse la requisizione da parte dei tedeschi; ma dopo la liberazione ottiene dal locale C.L.N. un “buono” per avere in cambio un cavallo da lavoro. Il figlio Andrea, allora giovinetto, parte in bicicletta per Fornovo, dove, presso il locale Comitato, può ritirare una robusta cavalla, con la quale torna al proprio paese, col conforto di tutta la famiglia. Tino, nato nel 1932, fin da piccolo aiuta il cugino Gino nella escavazione dei pozzi per l'acqua, non trascurando i vari impegni agricoli della famiglia, in collaborazione col fratello Andrea e più tardi col di lui figlio Maurizio. Merita ricordare una circostanza che per puro caso, durante l'ultimo conflitto mondiale, salva la vita a lui e alla madre. Infatti i Bertella per sottrarsi ai bombardamenti aerei che colpivano anche la nostra contrada, erano sfollati a Marciaso, un paesino a ridosso di Fosdinovo, oltre il “Forte Bastione”. Un giorno, durante lo spostamento con la madre verso quel borgo nascosto fra cerri e castagni, il piccolo Tino si rifiuta energicamente di continuare il cammino, obbligando la mamma a tornare verso la Colombiera: ebbene proprio in quel pomeriggio Marciaso subì un forte bombardamento che certamente avrebbe ucciso questi due poveri sfollati. Tino presta servizio militare di leva come trombettiere in fanteria (nella foto, il secondo dal basso), qualifica che lo impegnerà poi spesso nella vita civile nel corso di balli e feste popolari. Sarà poi alle dipendenze della Kerocosmo in qualità di autista, per 26 anni. Andrea, il fratello maggiore, nato 12 anni prima, pure lui in età molto giovanile collabora con la famiglia nel lavoro dei campi e, conseguita la licenza elementare, si avvia alla prima occupazione retribuita, come manovale presso la ditta Marchini di Colombiera che in quel tempo aveva attivato una fabbrica di tubi in cemento a S. Lazzaro, fabbrica che richiedeva un lavoro molto duro, se si pensa che il materiale veniva “battuto” dentro gli stampi con la sola forza delle braccia. L'ultimo conflitto mondiale vede Andrea all'Isola d'Elba (Portoferraio) come caporal maggiore di artiglieria con lo specifico compito di puntatore. Dopo l'armistizio del '43 aderisce al movimento partigiano con giovani compaesani fra cui ricordiamo Lindo Farina, che sarà poi il secondo sindaco castelnovese nel periodo post bellico, col quale riesce a passare il fronte guadagnando le file degli Alleati di stanza a Seravezza, le quali lo impegnano nei propri ranghi per servizi logistici. A guerra finita viene assunto come operaio nelle miniere di carbone di Colombiera, restandovi in attività per 11 anni fino alla chiusura dei pozzi che lo vedono insieme con i compagni di lavoro, “sepolto” nelle viscere della terra per ben 21 giorni, deciso, con la stessa determinazione dei propri colleghi, a proseguire l'azione di protesta, e confortato dalla premurosa assistenza dei rispettivi famigliari che procurarono loro i necessari viveri. Dopo un fulmineo amore nato in una sala da ballo, ed un lungo fidanzamento, nel 1950 si sposa con Ricci Marisa di origine carrarina. Dal matrimonio nasce, nel 1951, Maurizio, l'attuale comandante dei Vigili Urbani di Castelnuovo, occupato in tale carica fin dal 1955. Maurizio, diplomatosi perito chimico, ha svolto il servizio militare di leva ad Aosta nel corpo degli alpini, col grado di sottufficiale. Sposatosi nel 1974 con Moretti Liviana ha due figli: Stefano che ha conseguito la laurea di primo livello in scienza dei materiali e che oggi lavora a La Spezia; Andrea frequentante il IIIº anno di informatica al Capellini di La Spezia.
- 1675.3.08 Fondazione dell'oratorio di S. Rosa in Marciano.
a) 1675.31.08 Atto del Notaio Ambrogio Fazzi in favore dell'oratorio di Marciano.
b) 1665, 17 I padroni della villa di Marciano, certi Bertella, scrivono al vescovo che “scassando un loro terreno rinvennero certe muraglie antiche a guisa di chiesetta dentro le quali si sono trovate molte lastre et ossa di morti onde detti Bertella desiderosi del culto divino vorrebbero in detto sito e sopra dette mura edificare un oratorio”. Scarse sono le testimonianze degli ultimi discendenti di questa famiglia per quanto ne riguarda le origini; tuttavia merita tracciarne la storia per la serie di avvenimenti molto interessanti che ne hanno coinvolto uno dei membri, e cioè Gino Bertella. Egli, vissuto a Colombiera fino al 1982, data del suo decesso, ha fornito la spinta imprenditoriale ai figli, oggi titolari di una delle più importanti (forse la nº 1) fra le aziende che gravitano nel comprensorio castelnovese.
Il ramo di Gino deriva da un Bertella Augusto (popolarmente conosciuto col nome di “Agú”) proveniente da Arcola dove è vissuto, in quel territorio d'oltre Magra, fino alla seconda metà del 1800, dedicandosi con i genitori ed i fratelli ai lavori agricoli in qualità di mezzadro di famiglie locali. Il padre, di nome Andrea, era occupato come capo operaio presso le miniere di lignite di Colombiera. Uomo dotato di grande spirito collaborativo con i colleghi di lavoro, assumeva un contegno deferente rispetto ai superiori, tanto che perfino davanti al telegrafo si toglieva il cappello, facendo accompagnare il gesto con un inchino, ogni volta che doveva rispondere ad un comando. Il posto occupato dal padre in miniera fornisce al figlio Augusto l'occasione per incontrarsi con Garbusi Enrichetta di Luni con la quale si sposa, trasferendosi nella frazione di Montecchio. Qui prosegue l'occupazione famigliare di mezzadro alle dipendenze dei Tonarelli, e di parte dei beni della chiesa. Animato da spirito imprenditoriale, ma soprattutto desideroso di accrescere i cespiti della propria famiglia, nel frattempo aumentata di numero con i tre figli Gino, Andreina e Olghetta, acquista un biroccio ed un asino. Con questi mezzi attiva una serie di commerci nella vallata del Magra, in occasione delle numerose e assai frequentate fiere di paese. A poco a poco si indirizza verso il commercio della legna da ardere, e nel contempo si apre ad una nuova esperienza: quella della fabbricazione dei pozzi (col solo aiuto di pala e piccone). Queste due attività caratterizzeranno la famiglia Bertella che, specie con la seconda, debitamente modernizzata col passare degli anni, allargherà progressivamente i propri interessi imprenditoriali. All'età di 16 anni il figlio Gino, nato nel 1912, sente molto stretto il freno della famiglia e (siamo sul finire degli anni '20) parte volontario in Africa nel corpo “Cacciatori d'Africa”. Là commette una piccola infrazione, viene punito e si scopre che non ha raggiunto la maggiore età; si aprono allora le pratiche per il rimpatrio ma, per la mancanza del mezzo che lo riporti in Italia, è costretto a restare esule in terra d'Africa. Entra allora come civile a far parte della ditta spezzina “De Luigi” che lo assume come autista per il trasporto delle merci. Allo scoppio della guerra viene fatto prigioniero dagli Inglesi; di lui non se ne ha più notizia, tanto che viene dato per disperso dal governo italiano. Rifiutando di entrare nel ruolo di “collaboratore” viene internato in un campo di concentramento in Rhodesia dove conosce molti compatrioti con i quali organizza una rocambolesca fuga. Infatti con le balestre di un camion fabbrica una specie di cesoia con la quale nottetempo, dopo aver calzato un paio di zoccoli di legno precedentemente da lui costruiti, taglia il filo spinato elettrico di recinzione guadagnando la libertà. Con l'aiuto di una carta geografica del luogo, vaga per 200 chilometri in terra d'Africa; ma viene scoperto e nuovamente internato. La sua sete di libertà non si assopisce e la fertile mente gli fornisce l'estro per poter evadere ancora, questa volta sotto falso nome. Infatti si appropria della carta di identità di un suo compagno precedentemente morto, un certo Cigallotti Amedeo di Pistoia, e riesce ancora a fuggire dopo infinite peripezie. Viene ancora catturato, sotto questo falso nome che insospettisce il comando inglese, risultando questo Cigallotti di ben 17 anni più vecchio, essendo nato nel 1895! Ma, con aria imperturbabile di fronte a qualsiasi interrogatorio che tenta di incastrarlo, egli afferma in ogni circostanza, anche la meno prevedibile, la propria identità nel nuovo personaggio preso in prestito… E con tale falso nome verrà rimpatriato a fine guerra, esattamente nel 1947. In Italia però era stato dato per deceduto, tanto che la madre Enrichetta aveva fatto dire alcune messe, alla sua memoria. Sbarcato a Napoli, sale sul primo treno con i pochi soldi lasciatigli dal Comando inglese per sopperire alle necessità del viaggio; arrivato a Sarzana prende un taxi e nel pomeriggio della Befana del '47 compare……. vero fantasma del defunto Gino, a casa propria! Quale miglior strenna natalizia !? … Siamo dunque sul finire degli anni '40 e Gino, perennemente animato da spirito innovativo che in passato aveva raggiunto quello dell'avventura, consiglia il padre Augusto di vendere l'asino e il biroccino, ritenuti ormai superati per poter sostenere attività commerciali più redditizie, e di acquistare un mezzo motorizzato. La proposta va a buon fine e col ricavato da tale vendita (lire 99.000) viene acquistato presso l'esercito americano a Tombolo un camion Dodge: 97.000 lire per il mezzo e 2.000 lire per una tanica di carburante. Pur proseguendo nel commercio della legna da ardere e nella escavazione di pozzi, l'attività ora si allarga verso il commercio di materiale sabbioso e di laterizi, in un momento fortunato, data la grande richiesta di materiale edilizio per la ricostruzione e la scarsa concorrenza rappresentata da Poletti Cisi (il “Montagnaro”) e da Tendola Luigi (“Tomelon”), fra i pochi in possesso di automezzi adeguati. Ma Gino Bertella vuole misurarsi con nuove esperienze: vende il vecchio Dodge alla locale fabbrica di laterizi “Filippi” e col ricavato acquista, sempre sul mercato di Tombolo, un gippone americano alimentato a metano e dotato di un potente verricello. Questo strumento si rivelerà di massima utilità per lo spostamento di grossi carichi. Finalmente i detriti di scavo per i pozzi e i tronchi di legna da ardere saranno sollevati non più a forza di braccia! Il commercio di combustibili domestici vede ora, accanto ai tradizionali prodotti del bosco, anche gli ovuli e le mattonelle di antracite provenienti dalla Germania e che rendono ancor più vasto e consistente il mercato di Gino; egli tuttavia potenzia l'altra attività di scavo dei pozzi, fortemente richiesta da una popolazione in crescente aumento e non adeguatamente servita dagli acquedotti pubblici. E così nel 1970 la ditta Bertella & figli acquista alla fiera di Milano la prima trivellatrice del costo di svariati milioni, con acconto di 2 milioni prestati con nessun interesse (!) da un ex compagno di prigionia in Africa, un certo Volpi Giuseppe di Milano. (Il ricordo è d'obbligo, nel rispetto della memoria del nostro beneficiario). Gino Bertella si era sposato con Lida Fracassi nel 1948, appena tornato dai sette anni di prigionia in Africa e che oggi lo ricorda con infinita riconoscenza ed affetto. Ha avuto tre figli: Ornella, Arnaldo e Bruno i quali ultimi proseguono da tempo le esperienze paterne. Ma prima di parlare di questi ultimi eredi, vogliamo ricordare che Gino Bertella è stato una figura generosissima, non solo con la propria famiglia, ma in pari modo anche con la gente del proprio paese. E pur appartenendo in modo manifesto ad un'area politica che negli anni del dopo guerra poteva apparire per lo meno “assurda” agli occhi della politica in corso, è stato sempre rispettato da qualsiasi avversario ideologico che gli ha riconosciuto l'onestà, la coerenza, la laboriosità e la dignità. Una nota va ora spesa per la “Impresa Bertella Bruno” gestita dai fratelli Bruno e Arnaldo. La ditta specializzata in opere di consolidamento dei terreni, in particolare nella esecuzione di pali trivellati, micropali, tiranti, dreni e palancolati, ha ottenuto nel 1989 l'iscrizione all'albo nazionale costruttori per la categoria delle fondazioni speciali. Il mercato di riferimento dell'Impresa Bertella è presente in molte regioni italiane: Liguria, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Piemonte ed è costituito attualmente da enti pubblici per il 60% del fatturato, da privati per il 10% e da altre imprese per il restante 30%. Il fatturato salito da 371.00 Euro nel 1996 ai 3.272.000 Euro nel 2002, consente all'azienda, forte di 27 dipendenti fra operai e impiegati, di divenire leader nel proprio settore in ambito locale e una delle realtà più importanti a livello regionale. Ci piace chiudere questa scheda con una considerazione di sapore sociale e morale: i titolari Arnaldo e Bruno hanno allargato enormemente l'attività tracciata dal nonno Augusto conservando l'umiltà morale dettata soprattutto dal padre Gino. Arnaldo si è sposato con Balleri Loredana nel 1976 ed ha due figlie, Laura e Lucia. Bruno, sposatosi con Lupetti Rita ha due figli: Mattia, studente di giornalismo presso la facoltà di Scienze politiche a Firenze; Andrea, geometra. Egli lavora nell'impresa famigliare della quale, ci si augura, sarà degno prosecutore.
La famiglia Bertella (dei “Ruzé”)
Capostipite di questo ramo dei Bertella di Colombiera che trasmette il soprannome “Ruzé” ai discendenti, è Attilio Bertella, nato a Castelnuovo Magra sul finire del 1800 e figlio, con gli altri fratelli Augusto, Giovanna e Lisa, di Andrea Bertella proveniente da Arcola. Il soprannome “Ruzé”, che col tempo diviene predominante sul vero nome, gli deriva forse dal suo carattere estremamente socievole, estroverso e giocoso che ne caratterizza il comportamento di contadino, portandolo a “ruzzare”, nel senso di “giocare” con le varie circostanze della vita. Infatti non vi è festa paesana o importante ricorrenza a cui non sia presente come protagonista e organizzatore; non si sente canto popolare per le vie del paese in cui Attilio non sia fra le prime voci del coro. Attento ad ogni avvenimento che lo circonda nella frazione di Colombiera in cui abita, è sempre prodigo di attenzioni verso chi richiede la sua collaborazione: durante le feste dell'Epifania va a cantare travestito nei panni della vecchina; fa cortese visita alle puerpere (assai numerose in quel tempo) portando in omaggio semplici ma utili prodotti della terra, come un fascio di legna per il riscaldamento al camino, oppure un mazzo di cavoli per il minestrone, o altri doni. Amico sia dei bambini che degli adulti, viene richiesto in ogni dove per la sua giovialità e per l'allegria che sa infondere intorno a sé. La sua presenza si rivela preziosa nei casi di lavori impegnativi; infatti non solo collabora con il fratello Augusto nell'opera di scavo dei pozzi per l'acqua potabile o irrigua, ma di buon grado aiuta amici e conoscenti nella vendemmia, nella potatura e nella annuale ricorrenza della “scartozzera” dove assume sempre il ruolo di “prima donna” grazie alle sue esilaranti facezie. Il suo impegno lavorativo si manifesta anche in attività assai pesanti quali lo scasso dei terreni per la piantagione delle viti, compiuto in genere di notte alla luce di lanterne, venendo occupato, di giorno, in lavori agricoli più urgenti. Nelle fredde notti dell'autunno-inverno spesso lo vediamo intento nella frangitura delle olive presso il frantoio Ferrari di Castelnuovo paese. Padrone di una coppia di buoi collabora con i vari contadini del luogo prestando loro tali animali per le pesanti operazioni di aratura e semina, oltre che la propria opera personale. Tutta questa disponibilità gli deriva anche dalla robustezza fisica messa in evidenza dalle sue muscolose braccia. Attilio si sposa con Nardi Rosalinda di Colombiera dalla quale ha tre figli: Tino, Andrea e Rita. A proposito dei buoi di sua proprietà si racconta che durante la guerra ne subisse la requisizione da parte dei tedeschi; ma dopo la liberazione ottiene dal locale C.L.N. un “buono” per avere in cambio un cavallo da lavoro. Il figlio Andrea, allora giovinetto, parte in bicicletta per Fornovo, dove, presso il locale Comitato, può ritirare una robusta cavalla, con la quale torna al proprio paese, col conforto di tutta la famiglia. Tino, nato nel 1932, fin da piccolo aiuta il cugino Gino nella escavazione dei pozzi per l'acqua, non trascurando i vari impegni agricoli della famiglia, in collaborazione col fratello Andrea e più tardi col di lui figlio Maurizio. Merita ricordare una circostanza che per puro caso, durante l'ultimo conflitto mondiale, salva la vita a lui e alla madre. Infatti i Bertella per sottrarsi ai bombardamenti aerei che colpivano anche la nostra contrada, erano sfollati a Marciaso, un paesino a ridosso di Fosdinovo, oltre il “Forte Bastione”. Un giorno, durante lo spostamento con la madre verso quel borgo nascosto fra cerri e castagni, il piccolo Tino si rifiuta energicamente di continuare il cammino, obbligando la mamma a tornare verso la Colombiera: ebbene proprio in quel pomeriggio Marciaso subì un forte bombardamento che certamente avrebbe ucciso questi due poveri sfollati. Tino presta servizio militare di leva come trombettiere in fanteria (nella foto, il secondo dal basso), qualifica che lo impegnerà poi spesso nella vita civile nel corso di balli e feste popolari. Sarà poi alle dipendenze della Kerocosmo in qualità di autista, per 26 anni. Andrea, il fratello maggiore, nato 12 anni prima, pure lui in età molto giovanile collabora con la famiglia nel lavoro dei campi e, conseguita la licenza elementare, si avvia alla prima occupazione retribuita, come manovale presso la ditta Marchini di Colombiera che in quel tempo aveva attivato una fabbrica di tubi in cemento a S. Lazzaro, fabbrica che richiedeva un lavoro molto duro, se si pensa che il materiale veniva “battuto” dentro gli stampi con la sola forza delle braccia. L'ultimo conflitto mondiale vede Andrea all'Isola d'Elba (Portoferraio) come caporal maggiore di artiglieria con lo specifico compito di puntatore. Dopo l'armistizio del '43 aderisce al movimento partigiano con giovani compaesani fra cui ricordiamo Lindo Farina, che sarà poi il secondo sindaco castelnovese nel periodo post bellico, col quale riesce a passare il fronte guadagnando le file degli Alleati di stanza a Seravezza, le quali lo impegnano nei propri ranghi per servizi logistici. A guerra finita viene assunto come operaio nelle miniere di carbone di Colombiera, restandovi in attività per 11 anni fino alla chiusura dei pozzi che lo vedono insieme con i compagni di lavoro, “sepolto” nelle viscere della terra per ben 21 giorni, deciso, con la stessa determinazione dei propri colleghi, a proseguire l'azione di protesta, e confortato dalla premurosa assistenza dei rispettivi famigliari che procurarono loro i necessari viveri. Dopo un fulmineo amore nato in una sala da ballo, ed un lungo fidanzamento, nel 1950 si sposa con Ricci Marisa di origine carrarina. Dal matrimonio nasce, nel 1951, Maurizio, l'attuale comandante dei Vigili Urbani di Castelnuovo, occupato in tale carica fin dal 1955. Maurizio, diplomatosi perito chimico, ha svolto il servizio militare di leva ad Aosta nel corpo degli alpini, col grado di sottufficiale. Sposatosi nel 1974 con Moretti Liviana ha due figli: Stefano che ha conseguito la laurea di primo livello in scienza dei materiali e che oggi lavora a La Spezia; Andrea frequentante il IIIº anno di informatica al Capellini di La Spezia.
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