Famiglia BACIGALUPI
BACIGALUPI, BACIGALUPO, LUPI: questi cognomi potrebbero derivare dal cognomen latino Lupus, da toponimi contenenti il termine Lupo o Lupi, come San Lupo (BN), Morlupo (RM), Montelupo (FI) - (CN) e tanti altri, ed è pure possibile la derivazione da soprannomi legati ad incontri o fatti connessi con dei lupi.
Il primo Bacigalupi registrato a Castelnuovo risulta essere Bacigalupo Bartolomeo da Chiavari (Cicagna), coniugato a Castelnuovo il 29 settembre 1748.
Un borgo come Cicagna ne ha avuto molti di personaggi importanti, nel travagliato panorama delle lotte che i locali abitanti di Fontana Buona avevano ingaggiato contro i Francesi per difendersi dalle idee portate dalla Rivoluzione e dai soprusi delle truppe di Napoleone. Nel 1797 furono Vivamaria a ribellarsi e il loro capo, il “generale” Paolo Bacigalupo, guidò fino alle porte di Genova, un esercito di sedicimila persone armate di croci, stendardi e forconi.
Tra i liguri che viaggiano ed emigrano all'estero, portando altrove notizie dei nostri luoghi e della nostra civiltà, vi è lo scultore Drew Bacigalupa, che vive a Santa Fé Nuovo Messico, ed è un po' il decano di quella fiorente comunità d'artisti. Fino a qualche anno fa aveva solo investigato sulla parentela partenopea della madre, ma nel 1998 è venuto a Chiavari e a Cicagna a rintracciare i propri antenati, in un luogo dove pressoché tutti (sorpresa!) si chiamano Bacigalupo. Che egli sia discendente del Giuseppe Bacigalupo (1744-1820) autore di alcuni dipinti nel Salone del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale?
Tornando ai Bacigalupi di Castelnuovo Magra dobbiamo arrivare ai primi decenni del secolo XIX per averne qualche informazione più dettagliata. Infatti verso il 1830 incontriamo un certo Giuseppe Bacigalupi soprannominato “Angeren” che, sposatosi con la compaesana Mannucci Donatella, ha 5 figli: Giovanni, Carolina, Stefano, Fedele e Luigi, dei quali il primo sarà il continuatore della stirpe dei Bacigalupi.
Giovanni era nato nel 1862; fin da ragazzo intraprende l'attività di mugnaio in un locale lungo il torrente Bettigna che prenderà il nome di “Zàn” come diminuitivo di Giovanni; costui svolge il suo lavoro
con perseveranza e scrupolo, affaccendandosi continuamente fra le varie leve, gli ingranaggi e i sacchetti di granaglie e farine che si avvicendano nel piccolo magazzino. Gli fanno compagnia il rumore sordo dei palmenti in rotazione, l'allegro sciabordio dell'acqua sulle pale del rotone, lo scrosciare rumoroso lungo la gora di scarico. Nella stagione di maggior lavoro, specie dopo i raccolti, il piccolo stabilimento funziona anche di notte; e allora Giovanni scende dal letto e, con l'aiuto di una fumosa lampada a petrolio, si aggira fra ruote dentate, tramogge e cassoni per controllare che tutto vada bene, o per correggere qualsiasi minima anomalia dell'impianto di molitura.
La moglie Petacchi Petronilla lo affianca nel lavoro, permettendogli di recarsi giornalmente nella campagna castelnovese a raccogliere i sacchi dai contadini e consegnare loro i relativi prodotti della macinazione; il tutto trasportato a dorso di un paziente somarello o su un cigolante carretto. Le “visite” di Giovanni, preannunciate col cupo e prolungato suono della “lumaca”, sono attese con grande piacere dalle famiglie a cui egli, col suo carattere gioioso e comunicativo, porta sempre una nota di buonumore; quegli appuntamenti costituiscono anche l'occasione per scambiare quattro chiacchere, specie durante la fase del pagamento del servizio di molitura che avviene attraverso la forma del baratto.
Dalla moglie, della quale era rimasto vedovo, aveva avuto quattro figli maschi: Attilio, Luigi, Amedeo e per ultimo Ettore che viene alla luce nel 1899. Si sposa in seconde nozze con la giovane Dadà Cristina di Fosdinovo che aveva conosciuto tramite una comune amica la quale, impegnata nel commercio ambulante di uova e farina fra gli abitanti dei due capoluoghi, aveva avviato i primi contatti fra i due. Da questa unione nasce Lindo che, abbandonando la tradizionale attività molitoria, riuscirà, grazie alle mutate condizioni economiche del tempo, a compiere un vero salto sociale, ottenendo l'incarico di bidello presso le scuole statali di Sarzana.
I figli nati dal precedente matrimonio avranno destini assai diversi: Attilio nato nel 1890, partecipa alla prima guerra mondiale come marinaio imbarcato su una torpediniera: questa viene affondata e Attilio viene salvato in extremis dopo un prolungato naufragio che gli procurerà una mortale affezione polmonare.
Luigi, della classe 1895, morirà durante la famosa ritirata di Caporetto. Amedeo, nato nel 1897, soprannominato “Il Borgàn”, vivrà molto a lungo, fino al 1978.
L'ultimogenito Ettore era nato, come ricordato sopra, nel 1899. Partecipa anch'egli al primo conflitto mondiale, richiamato fra i “ragazzi del '99” dopo la disastrosa ritirata di Caporetto, prestando servizio nei Bersaglieri. Contrae la broncopolmonite che lo costringe al ricovero presso l'ospedale del Celio di Roma, fino al termine della guerra. Riceverà l'ambìto riconoscimento di “Cavaliere di Vittorio Veneto”.
Nel 1927, durante una festa presso il salone da ballo di Molino del Piano, conosce Lombardi Maria della quale si invaghisce e che condurrà all'altare nel 1929, dopo solo due anni di fidanzamento. Quel periodo era vissuto con grandi ristrettezze economiche e la cerimonia nuziale si svolse all'insegna dell'estrema semplicità, con la presenza dei soli testimoni nonché dei genitori. Ettore si attiva subito per cercare un lavoro che ottiene presso un laboratorio di marmi a Carrara, dove si reca ogni giorno cavalcando una pesante bicicletta con i cerchioni di legno! Ma nel 1932, a causa della crisi economica che determina la chiusura di molte aziende, il giovane Ettore è costretto a cercarsi un'altra occupazione, che effettivamente trova presso le miniere di lignite di Colombiera, come minatore.
Vi lavorerà fino al termine della Iiº guerra mondiale, quando si trasferirà presso le Fornaci Filippi, con funzioni di operaio nel reparto officina. Raggiunta l'età della pensione nel 1959 si ritira a vita privata, coltivando la passione di mugnaio lasciatagli dal padre Giovanni; infatti per alcuni anni lavorerà presso il locale mulino Saccomani. Del padre conserverà un vivissimo ricordo che trasmetterà al figlio cui è stato imposto lo stesso nome. Quest'ultimo non avrà figli maschi, ma il cognome si conserverà attraverso il ramo parallelo dello zio Lindo e del relativo figlio (Gianfranco) e nipote (Valerio).
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